Nel tentativo di raccontare come procede la controffensiva dell’Esercito Ucraino non si può non fare i conti con un articolo del Washington Post uscito nella giornata di ieri e ripreso da buona parte della stampa italiana. L’articolo del WP è interamente basato su dichiarazioni di “funzionari dell’intelligence americana che desiderano rimanere anonimi”, una fonte spesso alla base di molte notizie pubblicate dal giornale in questione. L’articolo entra subito in argomento riportando quella che definisce una “cupa valutazione” dell’intelligence statunitense, e cioè che: “l’Ucraina non riuscirà a raggiungere la città chiave di Melitopol, una scoperta che se si rivelasse corretta, significherebbe che Kiev non raggiungerà il suo obiettivo principale: recidere il ponte di terra della Russia verso la Crimea”. Insomma, la valutazione sarebbe che la controffensiva ucraina ha fallito perché Melitopol non verrà conquistata.
Nei mesi precedenti l’attacco ucraino sul fronte sud, nessun analista militare a conoscenza di chi scrive ha mai pensato che fosse un ragionevole obiettivo nel corso di questa offensiva quello di andare alla conquista di città fortificate, come per l’appunto Melitopol. Si è visto, a parti invertite (Mariupol, Lysychansk, Bakhmut..), quale spaventoso bagno si sangue sia conquistare una città ben difesa e quanto sia lungo il tempo impiegato per questo tipo di operazione. Non è immaginabile come qualsiasi generale ucraino abbia potuto pensare di condurre un’operazione di questo tipo con le non numerosissime forze – e mezzi – a disposizione per la controffensiva programmata. Inoltre Melitopol non è l’unico punto in cui è possibile tagliare il ponte di terra che i russi hanno creato tra Rostov e la Crimea, e non è neanche il luogo migliore per farlo. Gli ucraini possono tagliare il ponte di terra in molti altri luoghi e con migliori risultati lungo le centinaia di chilometri sui quali si dipana il fronte sud.
Successivamente il Washington Post passa a raccontarci – sempre secondo l’avviso dei “funzionari di intelligence anonimi” – dei malumori all’interno dell’apparato militare statunitense: “Funzionari statunitensi hanno affermato che il Pentagono ha raccomandato più volte all’Ucraina di concentrare una gran massa di forze su un unico punto di svolta…”, da queste righe trasparirebbe evidente l’irritazione del Pentagono nei confronti degli ucraini.
Dunque, a dar retta ai “funzionari anonimi”, il Pentagono avrebbe chiesto agli ucraini di raccogliere tutte le Brigate a loro disposizione – formate da militari non esperti, che hanno avuto un periodo di esercitazioni brevissimo, e che devono imparare quasi “in diretta” ad usare efficacemente strumenti militari conosciuti da qualche mese – e di lanciarle in un unico punto di sfondamento, tutto questo senza avere una netta superiorità di artiglieria e nessuna copertura aerea. Difficile non domandarsi quale esercito americano intraprenderebbe un’azione di sfondamento di questo tipo senza aver prima bombardato le linee nemiche con l’aviazione per un mese con una media di 200 missioni al giorno. Su come poi si sarebbero difesi i fianchi di una colonna che in un unico punto esegue una penetrazione in verticale di circa 100 km, non abbiamo informazioni.
Sta di fatto che, sin dall’inizio, gli ucraini ad un’operazione di questo tipo non ci hanno nemmeno pensato.E’ vero che gli ucraini hanno tentato all’inizio di giugno degli attacchi meccanizzati per sfondare le prime linee russe – attacchi che sono falliti ed hanno comportato diverse perdite – ma lo hanno fatto solo con una parte, neppure quella maggiore, delle loro unità corazzate, e lo hanno fatto per un brevissimo lasso di tempo. Al contrario hanno iniziato ad impegnare con piccoli attacchi le tre Armate russe presenti sull’intero fronte sud (58°, 49° e 29° Armi Combinate) in modo da non permettere ai russi di spostare orizzontalmente truppe di riserva sui punti dove intraprendevano l’offensiva, mentre sono rapidamente passati ad una prolungata (e necessariamente lenta) azione di attrito.
Naturalmente il Washington Post imputa le difficoltà incontrate dagli ucraini nel loro tentativo di avanzare ai campi minati ed alle cosiddette “trincee” russe. In generale sembra che gran parte della stampa abbia scoperto solo negli ultimi tempi la solidità dei sistemi difensivi organizzati a suo tempo dal Generale Surovikin. In realtà – visto che esistono le immagini satellitari – un giornalismo attento, ben prima che l’offensiva ucraina iniziasse, aveva già messo in guardia sulla necessità di non sottovalutare il potere frenante delle difese statiche.
Tali voci sono state però coperte da un generale ottimistico entusiasmo, per il quale, arrivati i carri armati Leopard, l’esercito ucraino avrebbe intrapreso una gloriosa marcia verso il Mar d’Azov. Di questo facile entusiasmo sono stati responsabili un certo modo di fare informazione ed anche alcuni dirigenti ucraini. In ambienti meno ottimistici le difficoltà poste dai sistemi trincerati russi erano invece viste in modo tale per cui si era portati a pensare (erroneamente) che i primi attacchi dell’offensiva ucraina fossero azioni depistanti da un attacco principale che si sarebbe dovuto svolgere altrove.
Per concludere: a chi aveva più o meno in mente tutte le difficoltà che questa controffensiva comporta per Kyiv, il momento in cui l’articolo del Washington Post in questione sembra più convincente è nelle parole di una fonte questa volta non anonima, e cioè dal Generale Mark A. Milley, capo del Comitato Congiunto dei Capi di Stato Maggiore dell’Esercito Americano, il quale ha detto ai suoi intervistatori: “Un paio di mesi fa avevo scritto che questa offensiva sarebbe stata lunga, sanguinosa e lenta, ed è esattamente quello che è: lunga, sanguinosa e lenta; è un combattimento molto, molto difficile”.
@riproduzione riservata