Chi è Bidzina Ivanishvili, il georgiano miliardario che controlla le sorti di un’intera nazione? Di lui si dice che, seduto su una montagna di miliardi e osservando da una casa di vetro sulla collina di Tbilisi, manovri il suo “Sogno Georgiano” come un burattinaio. Il suo scopo? Tenere saldamente la Georgia sotto controllo, mentre il popolo, ormai schiacciato da promesse tradite e sogni spezzati, si chiede se mai si libererà dalla sua presa.
Ufficialmente, la Georgia è una repubblica parlamentare. Ma questa è solo una facciata. Dietro ogni decisione, ogni mossa, c’è lui, Ivanishvili, che senza alcun ruolo ufficiale guida la politica del Paese, insediando fedelissimi in tutti i punti strategici, dal Parlamento al sistema giudiziario. È lui a governare. L’uomo più ricco della Georgia detta le regole, imprigionando il Paese in una democrazia di facciata.
Il messaggio è chiaro: ogni istituzione, ogni carica, ogni funzione dello Stato risponde a lui. Ivanishvili decide, e chi osa contraddirlo è costretto al silenzio, costretto alla paura. Questa è la nuova Georgia, un sogno di libertà tradito che, tra censura e intimidazioni, resta ostaggio di un’unica visione: la sua.
La Georgia – terra natale di Iosif Vissarionovich Dzhugashvili, meglio conosciuto come Joseph Stalin – aveva intrapreso un percorso verso l’Europa, con l’obiettivo di integrarsi e conquistare una nuova stabilità. Ma Ivanishvili, con abili mosse, ha cambiato rotta, attirando il Paese verso la Russia. Con un linguaggio che fa tremare, descrive l’Occidente come un invasore, pronto a minacciare le radici culturali del popolo georgiano. Accuse di corruzione morale, dichiarazioni che tuonano contro “valori distruttivi”: Ivanishvili ha costruito un nemico, e questo nemico è l’Occidente. Un’ombra di Mosca sembra allungarsi sul futuro del Paese, e molti si chiedono se Ivanishvili sia davvero il protettore della Georgia o, invece, il cavallo di Troia di Putin.
Le somiglianze con il Cremlino non sono casuali: leggi anti-LGBTQ+, attacchi agli attivisti, controlli sulle ONG che ricevono fondi esteri. La Georgia sembra sempre più il riflesso delle politiche autoritarie russe, un’involuzione voluta e orchestrata da Ivanishvili, il miliardario che sta plasmando il Paese a sua immagine e somiglianza.
Ivanishvili non è nato tra le ricchezze, ma nella povertà di un piccolo villaggio. È salito al potere durante gli anni ’90, in un’epoca di caos e violenza post-sovietica. La Georgia ha di fatto dichiarato la sua indipendenza dall’URSS il 9 aprile 1991. Questo avvenne poco prima del crollo ufficiale dell’URSS nel dicembre dello stesso anno. Il giorno è particolarmente significativo, poiché ricorda anche il tragico massacro del 9 aprile 1989 a Tbilisi, quando le forze sovietiche repressero violentemente una manifestazione pacifica per l’indipendenza, uccidendo 21 persone.
In quel clima di cambiamento geopolitico, Mosca gli ha permesso di costruire un impero, un vasto network che comprende banche, telecomunicazioni, metalli preziosi. Questo background non è mai stato dimenticato: Ivanishvili è cresciuto nella giungla dell’oligarchia russa, imparando che il potere si prende, e non si lascia più.
Il ritorno in Georgia nel 2003 lo vede impegnato a trasformare la sua immagine. Ora è il benefattore, l’uomo che costruisce scuole, ospedali, strade. Ma ogni dono, ogni gesto di generosità è un investimento nel suo impero politico. La gente nelle campagne lo adora, ma questa adorazione è il frutto di una strategia calcolata, di un piano che mira a legare le persone a lui, rendendolo il padrone e salvatore della nazione.
Le sue apparizioni al pubblico sono però studiate, protette, un esercizio di potere che incute soggezione. Nel frattempo, il Paese scivola lentamente verso un regime di paura e autoritarismo, mentre il Sogno Georgiano si trasforma in incubo.
Il messaggio di Ivanishvili è semplice ma potente: la Georgia ha bisogno di stabilità, e l’Occidente è un pericolo. Questo mantra è riuscito a insinuarsi nella mente di molti, specialmente di chi teme la guerra e ricorda ancora l’invasione russa del 2008. Ivanishvili sfrutta le paure e le ferite aperte del passato per allontanare la Georgia dall’Europa e spingerla sempre più verso Mosca, dove il controllo del popolo viene prima di ogni altra cosa.
Nonostante tutto, il popolo georgiano non ha perso la propria voglia di libertà. In migliaia, si riversano nelle strade, sfidando la repressione per urlare la propria rabbia contro un governo che, secondo loro, non rappresenta più i loro ideali. Chiedono trasparenza, democrazia, un futuro europeo. Sfidano l’autorità di un uomo che sembra invincibile, ma la cui invulnerabilità potrebbe incrinarsi sotto il peso della loro volontà collettiva.
Il Paese si trova a un bivio. Da una parte, un sogno europeo, un cammino verso la democrazia e la prosperità. Dall’altra, la strada già tracciata da Ivanishvili, che punta verso un’autarchia spietata, simile a quella russa, dove chi alza la voce rischia di essere ridotto al silenzio. La Georgia lotta per la sua anima: non è certamente la vittoria del “Padrino della Georgia”, come spesso viene chiamato, alle elezioni il verdetto finale di questa storia.
Ebbene sì, le elezioni che hanno visto trionfare Ivanishvili e il suo Sogno Georgiano lasciano una scia di incertezze. La Georgia sembra aver perso l’orientamento, schiacciata tra due forze che la trascinano in direzioni opposte. Ma anche sotto la morsa di un miliardario che si considera al di sopra di ogni legge, i georgiani non smettono di sperare in un cambiamento.
Per una parte della popolazione georgiana, Bidzina Ivanishvili è l’uomo che ha imprigionato il Paese in un incubo. Ma la Georgia, forte del suo spirito indomito, non è pronta a cedere. I giorni a venire promettono grande fermento, e il mondo intero osserva.
Riuscirà il popolo georgiano a liberarsi della presa di Ivanishvili? O sarà costretto a vivere sotto il giogo di un’oligarchia che ha scelto la via dell’oppressione? Questa è la sfida che attende la Georgia.