Nel carcere di Biella di viale dei Tigli sono stati 89 persone e per 56 sono state chieste e ottenute le misure cautelari: tre guardie carcerarie finite ai domiciliari e di altre tre per le quali è stata chiesta la sospensione dall’esercizio dell’ufficio di agente della polizia penitenziaria (il Gip deciderà dopo gli interrogatori di garanzia), di 33 persone già detenute e di 5 che hanno già lasciato il carcere per le quali è stata disposta la custodia dietro le sbarre, e di 12 familiari di detenuti, anch’essi ai domiciliari. A questi soggetti va aggiunto l’agente di polizia penitenziaria arrestato nello scorso dicembre, Graziano Oliva, che venne arrestato con l’accusa di cessione di sostanze stupefacenti all’interno del carcere, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e istigazione alla corruzione. Assieme a lui furono indagati due detenuti, accusati di detenzione di droga e di telefoni cellulari, oltre che di resistenza a pubblico ufficiale.
I reati contestati
I reati contestati includono: introduzione e cessione di sostanze stupefacenti all’interno del carcere (un vero supermarket, dalla cocaina all’eroina all’hashish, al crack a farmaci oppiodi agli anabolizzanti), introduzione di telefoni cellulari, sim card e relativi apparati, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, istigazione alla corruzione, ricettazione, estorsione, falso in atto pubblico. Più materiale di quello trovato a Caivano.
Il Paese dei Balocchi e dei “cavalli blu”
Il carcere di Biella era diventato “il Paese dei Balocchi” per alcuni detenuti, secondo quando riporta l’agenzia stampa Agi dove leggiamo dichiarazioni di numerosi testimoni: “Puoi trovare quello che vuoi”, compresi smartphone e tablet di ultima generazione “che ancora non si vendono in piazza”. E sempre l’Agi ci spiega che la vicenda, ricostruita con una indagine cominciata nel 2019, è stata illustrata in Questura dalla procuratrice capo di Biella Teresa Angela Camelio, dal questore Claudio Ciccimarra, dai Sostituti Procuratore della Repubblica Paola Francesca Ranieri e Sarah Cacciaguerra, e dal Dirigente della Squadra Mobile, Commissario Capo Giovanni Buda. Durante l’incontro con i giornalisti, il procuratore ha dichiarato “Senza la complicità degli agenti non sarebbe stato possibile che il traffico raggiungesse quantitativi ingenti come quelli accertati, necessari per soddisfare un mercato ampio, dovuto in particolare all’altissimo tasso di tossicodipendenza tra i detenuti”.
Infatti, a smerciare dentro il carcere tabacchi, droga, apparati telefonici e informatici attraverso pacchi postali indirizzati a nominativi fittizi, erano responsabili alcuni agenti di polizia penitenziaria, denominati “cavalli blu” che venivano pagati dai 600 ai 1.000-1.500 euro a seconda del tipo di “pacco” che facevano entrare in carcere che poi veniva distribuito a ogni capo diverso all’interno di una specifica sezione per vendere solo un tipo di droga. Secondo Repubblica i “cavalli blu” hanno introdotto all’interno del penitenziario 200 pasticche di Subutex a settimana (farmaco per curare la dipendenza da oppioidi) e un chilo e mezzo di hashish da rivendere a 60 euro al grammo, un prezzo superiore rispetto a quello della strada.
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