Black Phone

Ragazzino nerd, bullizzato dai compagni di scuola, deve tenere a bada il padre alcolizzato. La sorellina è più forte di lui ma la vita rimane dura. Il 1978 è un anno complicato per chi ha cervello e il povero Finney sa bene qual è il suo posto. A completare il quadro, la cittadina dove vive deve vedersela con un serial killer che rapisce e uccide ragazzini. Un giorno qualunque anche per il preadolescente arriva il momento di diventare vittima. Richiuso nel classico seminterrato Finney dovrà cavarsela dal pazzo omicida, ancora a piede libero. Unici aiuti per il giovane saranno gli spiriti dei ragazzini morti in contatto diretto dall’aldilà mediate un telefono apparentemente rotto.

Black Phone è un horror in perfetto stile anni ottanta, dove al romanzo di formazione e disagio si accompagna l’elemento soprannaturale. La famiglia del protagonista è classica: madre suicida e padre alcolizzato più sorellina sensitiva, elementi ben inseriti in una storia di paura. Il serial di turno è un pazzo che vive con la maschera e si diverte a torturare le sue giovani vittime senza un apparente motivo. Se a questo quadro si unisce una scuola poco politicamente corretta e forze dell’ordine dilettantesche il disastro è completo. Tratto da un racconto di Roy Hill il film è un buon prodotto che richiama lo stile Stranger Things tanto caro di questi tempi. Atmosfere di un passato recente che il regista Scott Derrickson costruisce in maniera sapiente bilanciando ritmo e suspense come nel miglior King.

L’utilizzo delle chiamate dai defunti è accennato senza forzatura e serve a presentare la vendetta come una catarsi quasi obbligata per il male. Black Phone è un film attento a variare la narrazione senza pretendere mai di uscire dall’impianto necessario a questo genere di vicende. Ethan Hawke, nel ruolo del villan, non carica eccessivamente la recitazione lasciando trasparire momenti di debolezza propri a un insano di mente. La scelta dei ragazzini risulta altrettanto azzeccata , attori completamente in parte che riescono a creare empatia necessaria con lo spettatore. I dialoghi sono interessanti perché capaci di unire lezioni di vita a sconforto senza cadere in un manierismo ripetitivo. Il film di Derrickson è un prodotto apprezzabile e dimenticabile ma non certo detestabile.