Bielorussia, dittatura e repressione: intervista a Luca Jahier sul peso dell’UE

la Bielorussia è sempre più un satellite russo. L’UE ha ancora strumenti per incidere o la sua influenza è svanita?

La notte del 27 gennaio, Aleksandr Lukašenko si è riconfermato presidente della Bielorussia con l’86,82% dei voti. L’annuncio è arrivato da Igor Karpenko, presidente della Commissione Elettorale Centrale (CEC), durante una conferenza stampa presso la sede dell’ente. Lukašenko, al potere dal 1994, si appresta dunque a iniziare il suo settimo mandato consecutivo. Una vittoria che, per molti osservatori, era nota ancor prima che la campagna elettorale prendesse il via. Secondo i dati ufficiali, i candidati “alternativi” hanno raccolto percentuali marginali: Oleg Gajdukovič (2,02%), Anna Kanopackaja (1,86%), Sergej Syrankov (3,21%) e Aleksandr Chižnyak (1,74%). Le schede “contro tutti”, espressione del dissenso, hanno raggiunto il 3,60%. Ma i numeri raccontano solo una parte di una tornata elettorale che la comunità internazionale e l’opposizione definiscono una “farsa totale”.

Le elezioni del 26 gennaio si sono svolte in un contesto segnato da repressioni politiche, controllo amministrativo e un clima di paura soffocante. Secondo il Ministero degli Esteri ucraino, «È difficile definire queste elezioni eque, trasparenti e democratiche, soprattutto considerando le repressioni politiche in Bielorussia, che hanno privato gli elettori di qualsiasi alternativa e trasformato le elezioni in uno spettacolo politico di un solo uomo». Le cabine di voto aperte, la presenza della polizia nei seggi e il divieto di fotografare le schede sono solo alcuni degli elementi che hanno compromesso la legittimità del processo.

Dal 1994, anno delle ultime elezioni libere in Bielorussia, Lukašenko ha consolidato il potere con un mix di manipolazione istituzionale, propaganda e repressione. Nel 2020, la sua dichiarazione di vittoria con l’80% dei voti scatenò mesi di proteste, soffocate con arresti di massa e violenze. Secondo l’organizzazione per i diritti umani Viasna, attualmente oltre 1.300 prigionieri politici sono detenuti in Bielorussia. La comunità internazionale, con l’Unione Europea in prima linea, ha condannato con fermezza l’esito delle elezioni, criticando un processo opaco e privo di autentica competizione democratica. Annalena Baerbock, Ministro degli Esteri tedesco, ha dichiarato: «È un giorno amaro per tutti coloro che lottano per libertà e democrazia in Bielorussia». Tuttavia, l’unanimità europea è stata compromessa dal veto ungherese su una dichiarazione comune, costringendo Bruxelles a pubblicare dichiarazioni individuali.

Il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione che definisce la competizione elettorale “fittizia” e richiama l’attenzione sulla trasformazione della Bielorussia in uno stato satellite della Russia. Dal 2020, l’UE ha imposto sanzioni a 287 individui e 39 entità legate al regime di Lukašenko, stanziando 170 milioni di euro per sostenere la società civile bielorussa. Ma, come sottolineato da Amnesty International, «Le autorità hanno creato un clima di paura soffocante, mettendo a tacere tutto e tutti coloro che contestano il governo».

Lukašenko rappresenta il paradigma della “democrazia illiberale”, un sistema che conserva le forme democratiche ma le svuota di significato. Le elezioni, i parlamenti e le costituzioni diventano strumenti di legittimazione per un potere autoritario. La Bielorussia, sempre più legata a Mosca, è un laboratorio di questo modello: alleata fedele del Cremlino, ha accettato di ospitare armi nucleari tattiche e di fornire supporto logistico all’invasione russa dell’Ucraina. Il controllo del regime si estende anche alla sfera linguistica e culturale: il governo promuove il russo a scapito della lingua bielorussa e scoraggia l’identità nazionale. Le autorità, inoltre, continuano a utilizzare il KGB – eredità dell’Unione Sovietica – come strumento di controllo e repressione.

Queste elezioni non segnano solo l’inizio del settimo mandato di Lukašenko, ma aggiungono un nuovo capitolo alla costante erosione dei diritti democratici in Bielorussia. Come ha affermato il Servizio Europeo per l’Azione Esterna: «Il popolo bielorusso merita una vera voce su chi deve governare il Paese». Il futuro della Bielorussia è una questione globale: i regimi che svuotano la democrazia rappresentano una minaccia ai valori liberali ovunque. Come ammonisce Amnesty International, «Fermare l’espansione di queste false democrazie è un imperativo non solo per preservare i diritti dei bielorussi, ma anche per difendere la democrazia come valore universale».

Sul ruolo dell’Unione Europea in scenari complessi come quello bielorusso, abbiamo parlato con Luca Jahier, autore di “Fare l’Europa, fare la pace”. Figura di spicco nel dibattito europeo, Jahier promuove una visione europeista e sostiene iniziative cruciali per rafforzare l’Unione di fronte alle sfide globali. Gli abbiamo chiesto quali siano, a suo avviso, le priorità e le sfide per il futuro del progetto europeo.

La Bielorussia è diventata un esempio di “democrazia illiberale”. Quali strumenti concreti può adottare l’Unione Europea per contrastare questa deriva autoritaria e tutelare i diritti umani? «Più che di democrazia illiberale qui si parla di dittatura brutale subordinata alle scelte imperialistiche del Cremlino.L’Unione Europea, già dal 2020, ha reagito con una serie di sanzioni economiche e diplomatiche nei confronti della Bielorussia. Queste misure sono state adottate in risposta alla repressione interna, alla violazione dei diritti umani e al sostegno fornito dal Paese alle politiche aggressive di Mosca. Il punto di svolta è stato proprio il 2020, anno in cui il regime ha brutalmente soffocato le proteste popolari seguite alle elezioni presidenziali, giudicate fraudolente dagli osservatori internazionali. Le sanzioni si sono progressivamente estese, colpendo individui, aziende e interi settori economici, tra cui la petrolchimica, il settore finanziario, la tecnologia e l’interscambio commerciale. A queste si sono aggiunte misure come l’isolamento diplomatico, l’interruzione dei programmi di cooperazione attivi prima del 2020 e la condanna reiterata del regime. Parallelamente, La UE ha fornito sostegno politico ed economico alle opposizioni in esilio, ai dissidenti, alla società civile e a quel che resta della stampa indipendente. Tuttavia, nonostante l’impegno e la necessità di tali misure, sembra che l’Unione Europea abbia quasi esaurito la capacità di incidere concretamente con questi strumenti. I risultati delle recenti elezioni dimostrano che tali provvedimenti non hanno indotto il regime a modificare il proprio comportamento, né lo hanno indebolito nelle sue pratiche repressive. Allo stesso modo, non è emerso alcuno spazio di autonomia rispetto alle decisioni di Mosca, né le opposizioni sono riuscite a recuperare una qualche forma di agibilità politica all’interno del Paese».

Quanto è urgente rafforzare la sovranità strategica dell’UE per affrontare sfide come la crisi bielorussa e il crescente autoritarismo ai confini europei? «La questione è chiara: l’UE non dispone di una piena autonomia in politica estera, poiché dipende dagli accordi intergovernativi, dove il potere di veto è spesso determinante. L’unica area di maggiore autonomia risiede nei benefici commerciali, ma anche qui esistono limiti, come nel settore dei servizi, che richiede il coinvolgimento dei parlamenti nazionali per la ratifica. Di conseguenza, l’azione estera dell’UE si basa principalmente su procedure intergovernative. Questo limite strutturale, evidentemente in crisi in contesti come Bielorussia, Palestina, Gaza o Israele e, in passato, in Libia, si aggrava ulteriormente di fronte alle nuove sfide legate alla sicurezza e alla difesa. L’uso ripetuto del veto rende indispensabile una riforma che superi la logica dell’unanimità, adottando decisioni basate su maggioranze qualificate, garantendo comunque il coinvolgimento democratico dei governi. Tale riforma è cruciale non solo per la politica estera, ma anche per altre aree strategiche, come il completamento dell’unione bancaria, l’unione dei mercati dei capitali, la politica fiscale, energetica e sanitaria, e la gestione delle crisi pandemiche. Le attuali competenze dell’UE in questi ambiti sono limitate e vincolate da processi intergovernativi che ne bloccano l’efficacia. La necessità di una revisione della governance europea è stata già sottolineata, dalle conclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europa al progetto di riforma dei trattati approvato dal Parlamento Europeo nel 2023. Senza un cambiamento che elimini il potere di veto e rafforzi la capacità decisionale, l’UE rischia di restare paralizzata di fronte alle trasformazioni globali sempre più complesse e turbolente. Una riforma è quindi essenziale per costruire una solidarietà strategica e un’Unione davvero operativa, capace di agire con tempestività e coerenza».

Con Minsk allineata a Mosca, come può l’UE arginare l’influenza russa? «La questione bielorussa si intreccia profondamente con l’invasione russa dell’Ucraina e il conflitto che ne è scaturito. Da tre anni, le dinamiche scatenate dal neoimperialismo russo, disposto a usare la forza per raggiungere i propri obiettivi regionali, hanno estremizzato la rigidità del regime bielorusso. Il nodo centrale rimane come porre fine alla guerra in Ucraina e, soprattutto, quali equilibri saranno definiti da una pace giusta. Tuttavia, temo che, con le attuali dinamiche, soprattutto dopo l’elezione di Trump, l’Europa possa essere esclusa dal tavolo dei negoziati, lasciando Kiev di fronte a un fatto compiuto. Risolvere questo nodo è essenziale per affrontare questioni più ampie legate alla pace, alla sicurezza e alla configurazione futura della regione. In questo contesto, l’Unione Europea deve rafforzare il cammino intrapreso, sostenendo l’ingresso dell’Ucraina nell’UE. Rimane sullo sfondo anche la prospettiva, al momento lontana e improbabile, di una Bielorussia integrata nello spazio europeo, come richiesto dall’opposizione al Parlamento Europeo. L’UE non può esimersi dal supportare le legittime richieste di Kiev, garantendo misure di sicurezza solide e concrete, qualunque sia l’esito dei negoziati. Infine, è necessario iniziare a lavorare su una futura conferenza simile a Helsinki-2, coinvolgendo tutti gli attori della regione, inclusi Russia e Bielorussia, per ridefinire un quadro di sicurezza e cooperazione. Un rilancio del ruolo dell’OSCE, che in passato ha avuto un ruolo chiave nella fase finale della Guerra Fredda, sarebbe fondamentale. Solo in un contesto più ampio e complesso, la questione bielorussa potrà trovare una soluzione. Sebbene le recenti elezioni in Bielorussia siano importanti, il problema più vasto resta legato alla Russia e alle sue azioni destabilizzanti».