Sui media americani che si occupano delle relazioni internazionali le notizie che normalmente troviamo in primo piano non riguardano la Guerra d’Ucraina e neppure la Guerra di Gaza, ma la Cina. Gli Stati Uniti d’America vedono una grande potenza economica che sta procedendo a ritmi forsennati al proprio riarmo, riarmo al quale si accompagna un comportamento sempre più aggressivo nei confronti dei Paesi confinanti. Gli americani temono che la sfida di questa Potenza al loro dominio possa precipitare nel più classico dei conflitti e a questo conflitto si sentono impreparati. La supremazia economica e tecnologica americana non è più quella degli anni ’60 del secolo scorso; l’impegno economico statunitense per sostenere il debito pubblico consuma le risorse da collocare nelle altre voci di spesa dello Stato e tra queste quelle del budget per le spese militari; le sconfitte militari in Iraq ed in Afghanistan hanno intaccato la fiducia sia della classe dirigente che dell’opinione pubblica americana. Una sconfitta in un eventuale futuro conflitto con la Cina segnerebbe un ridimensionamento radicale della potenza statunitense e del suo ruolo nel mondo, quindi – in modo assolutamente bipartisan – la politica americana ha come priorità assoluta la Cina, tutto il resto non soltanto viene dopo ma può essere visto come una distrazione da ciò che per l’interesse nazionale statunitense è prioritario; ed è in questo senso che possiamo interpretare la politica estera dell’Amministrazione Biden.
Non si può dire che Biden non tenga alla causa dell’Ucraina, ma più ancora tiene al fatto che una eventuale intensificazione del conflitto con la Russia obblighi gli Stati Uniti a muovere armi e risorse sul continente europeo. Gli Stati Uniti non hanno mai voluto che l’Ucraina sconfiggesse sonoramente le truppe del Cremlino, temono troppo che una risposta disperata di Putin lo porti ad un azzardo che coinvolgerebbe la NATO in prima persona. La speranza dell’Amministrazione Biden è che la Russia esca sfiancata da un protratto conflitto con l’Ucraina, in una specie di riedizione degli esiti della Prima Guerra Fredda. Questo modo di pensare ha fatto in modo che il sostegno americano all’Ucraina sia stato di tipo scalare, sempre in ritardo, mai risolutivo in termini di mezzi forniti, punteggiato da limitazioni imposte all’Ucraina sul modo di condurre la guerra, nel timore di superare le “linee rosse” – vere o presunte – poste dal Cremlino.
Non si può dire che Biden non sia stato al fianco di Israele in questi lunghissimi otto mesi di guerra arabo-israeliana. Ma più ancora che alla vittoria israeliana Biden tiene a non perdere i rapporti con l’Arabia Saudita. Il recente successo della mediazione cinese, che ha portato il Regno a riallacciare i rapporti diplomatici con l’Iran, per gli Stati Uniti ha rappresentato un colpo durissimo. Il petrolio saudita ormai si dirige principalmente verso la Cina e il ruolo diplomatico assunto da Pechino nel pacificare le due sponde del Golfo Persico ha fatto presagire che a questo allineamento economico potrebbe seguire un allineamento politico. Per gli Stati Uniti è fondamentale che la cassaforte energetica rappresentata dai Paesi del Golfo non finisca nell’orbita cinese, così, seguendo le orme tracciate a suo tempo dai consiglieri di Trump per il medio oriente, l’Amministrazione Biden ha ripreso i tentativi di stabilire un’alleanza con i sauditi che coinvolga la normalizzazione tra questi ultimi ed Israele; questa alleanza dovrebbe rappresentare lo scudo regionale all’espansione iraniana e potrebbe così sollevare l’America dai gravosi impegni che comporta il contenimento in prima persona delle mire iraniane nell’area. Ma perché questo progetto possa vedere la luce a Gaza deve regnare un po di calma e, nell’ottica dell’Amministrazione Biden – e a dispetto di quanto possa pensare la maggioranza dell’opinione pubblica israeliana – pazienza se questo significherà la sopravvivenza dell’autorità di Hamas nella Striscia.
La politica dell’attuale Amministrazione statunitense, nella quale la preoccupazione per la sfida cinese si sovrappone costantemente alla volontà di difendere i Paesi amici in pericolo, ha fatto fin qui degli Stati Uniti un alleato riluttante. In questo modo l’America ha dato molto più una testimonianza di debolezza che di assertività. Indipendentemente da ogni altra considerazione ci sono comunque due elementi semplici con cui gli osservatori non possono non fare i conti. Per quanto riguarda l’Ucraina: chiedete a qualsiasi generale di qualsiasi nazione e qualsiasi tendenza politica se è possibile che un Paese possa vincere una guerra senza mai attaccare il territorio nemico e vi verrà risposto che un Paese che facesse questo sarebbe inesorabilmente destinato alla sconfitta. Per quanto riguarda Israele: chiedete a chiunque in medio oriente e non solo cosa significherebbe se ora si stabilisse un cessate il fuoco duraturo nella Striscia di Gaza e vi verrà risposto che questo significherebbe una vittoria assoluta per Hamas. La riluttanza dell’alleato americano in Ucraina ed in Israele, se perseguita, rischia di diventare un viatico per la sconfitta.
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