Antonio De Curtis. Le pellicole nascoste di Totò

Quando il comico non fa ridere, riesce a trasmettere un’emozione impossibile da descrivere

Antonio De Curtis

Quando il comico non fa ridere, riesce a trasmettere un’emozione impossibile da descrivere. I tempi nella vita sono tutto, i tempi nel cinema sono il cinema stesso. Gli attori comici difficilmente hanno saputo conciliare risata e lacrima, ma quando l’hanno fatto, sono entrati nella storia delle emozioni. Antonio De Curtis, attore napoletano, conosciuto ai più con il suo nome d’arte, è stato la maschera per eccellenza. Artista a tutto tondo ha calcato le scene del teatro, girato più di cento film oltre ad aver scritto canzoni e poesie entrate nella tradizione italiana.

Per anni dedito alla comicità, in maniera eccellente si è guadagnato il diritto a mettere il suo nome direttamente nel titolo di film diventati classici. Andando a osservare più da vicino la carriera di quest’alfiere della creatività è possibile trovare qualche pellicola nascosta, che ha avuto meno passaggi televisivi o più semplicemente non rispecchiava a pieno quello che Totò rappresenta nell’immaginario collettivo del paese. Nella sua sterminata carriera sono presenti alcuni titoli dove la risata non era obiettivo primario e dove il principe Antonio De Curtis prova a uscire dal suo usuale ruolo fornendo un’interpretazione indimenticabile. Purtroppo non sempre l’indimenticabile rimane indimenticato, occorre allora andare a proporre una visione.

 

Il comandante, Paolo Heusch – 1964

Il colonello Antonio Cavalli va in pensione e si scontra con la realtà della sua età e di un mondo che è diverso da quello cui era abituato. Lo mantiene la moglie che per venire incontro alla sua tristezza  gli trova  un lavoro fittizio pagando lei stessa lo stipendio  di nascosto. Il povero anziano sarà circuito da affaristi senza scrupoli mettendosi nei guai con la legge. Salvato dai soldi della moglie, si arrenderà al suo resto di vita.

Straordinaria prova di Totò che riesce a trasmettere tutta la malinconia di questo servitore dello stato in congedo forzato. Abitato all’obbedienza e a un mondo fatto di regole ben precise Cavalli si ritrova in un mondo quasi anarchico da anziano e senza conoscerne le regole. Sceneggiato da Rodolfo Sonego, non a caso l’alter ego di Sordi, il film è un viaggio nella malinconia dei tempi morti e la prova tangibile di quanto un comico che non fa ridere renda un’emozione unica. Non c’è niente da ridere ne “Il colonnello” eppure un grandissimo attore conosciuto soprattutto per il suo talento comico riesce a tramettere tutta la disperata malinconia di un individuo alla deriva.

Risate di Gioia, Mario Monicelli – 1960

Cronaca di un capodanno dove Tortorella (Anna Magnani), comparsa a Cinecittà sul viale del tramonto, impone la sua presenza a un a vecchio amico e a un giovane ladro. Umberto Pennazzuto (interpretato da Totò) è stato assunto da Lello, il ladro, come palo per i colpi di San Silvestro. I tre si recheranno a un veglione elegante, dove Tortorella, convinta di essere corteggiata da Lello, darà spettacolo complicando i furti ai due. Monicelli mette in scena un film pericoloso sulla carta giacché due talenti come Totò e Anna Magnani rischiano di annullarsi a vicenda ma il risultato da ragione all’intuizione del maestro toscano.

Il film non fu certo un successo enorme ma rappresenta una vena crepuscolare e malinconica del cinema italiano. Sceneggiato da Suso Cecchi D’amico Age e Scarpelli “Risate di gioia” è un esercizio dello stile di due tra attori più rappresentativi del cinema. Persone che hanno “inventato” la settima arte in Italia, dotate di tutte le qualità necessarie a dare corpo a individui immaginari cui la vita non ha mai sorriso del tutto. Si ride poco nel film, lo spettatore si appassiona alla vicenda umana dei protagonisti e alla loro vitalità spesso obbligata. Un tesoro nascosto , una camera segreta dove poter  apprezzare lo stile di un comico quando non fa ridere. Tratto d un soggetto di Alberto Moravia Risate di gioia è da approfondire per tutte quelle persone che non si fermano mai alla prima versione di una storia.

L’oro di Napoli, Vittorio De Sica – 1954

Il film è un affresco partenopeo diretto in maniera eccellente da uno dei maestri del cinema italiano. Diviso in cinque episodi trasmette altrettante storie di vita che animano una delle città più interessanti del mondo. Tratto dal libro di Giuseppe Marotta racconta le vicende di personaggi caratteristici e le loro storie di vita. Troviamo Totò nel ruolo di un Pazzariello bullizzato dal guappo di turno che si è stabilito in casa sua vessando lui e famiglia. L’uomo tenterà una reazione con effetti inaspettati.

Il film è composto di sei episodi, interpretati dai più grandi attori della tradizione italiana e napoletana. Uno squattrinato giocatore prova a riscattare se stesso sfidando un bambino a carte, un venditore di saggezza a fidanzati delusi, oltre a prostitute, pizzaioli e cortei funebri. Tra la commedia e il drammatico il film, sceneggiato da De Sica e Zavattini è il racconto di una città e delle sfumature che la compongono.

Dov’è la libertà , Roberto Rossellini – 1954

Salvatore Lo Jacono esce dalla galera dopo ventidue anni. Ha scontato una pena per l’omicidio di un supposto amante della moglie. Passata l’euforia dei primi momenti, si accorge che la società è molto cambiata rispetto a come la ricordava lui. Caduto in depressione valuta perfino l’idea di tornare dietro le sbarre. I principi e le speranze di un detenuto sono perfettamente espressi da Totò, che recita con un tono più pacato, come dimostrerà di saper fare anche successivamente.

Il film di Rossellini è una riflessione amara sul reinserimento dei carcerati ma anche una critica al cinismo e alla materialità che caratterizzava il dopoguerra italiano prima del boom. Una società appena uscita dal conflitto che scopre tutta la sua disumanità nascosta rendendo il povero Lo Jacono testimone di alcune nefandezze del passato. Rossellini mantiene il film a metà tra la critica sociale e il dramma senza rinunciare a qualche risata satirica. Un capitolo nascosto della produzione del maestro che vale la pena approfondire per la sua attualità, mantenuta a distanza di così tanto tempo.

Siamo uomini o caporali,  Camillo Mastrocinque  – 1955

Ulteriore esempio  di come la comicità possa essere travisata. Qui Totò è un uomo vessato dalla vita. Un vinto che si è inventato una teoria filosofica secondo la quale alla distinzione uomo o caporale s’ispira l’intera esistenza. Lui, uomo,, è costretto a subire continui soprusi per opera di previlegiati (i caporali) che con arroganza e senza rispetto impongono costantemente la loro natura . Davanti all’analista il protagonista ripercorre le intimidazioni di una vita che l’hanno cambiato fino all’accettazione passiva della natura di semplice perdente.

Tratto da un soggetto dello stesso Totò, il film analizza con un’ironia disincantata trent’anni della vita di un uomo comune. Disintegrare un animo è un processo a fasi, un viaggio che si compie e si vince in maniera silente. Un film che fa dell’onestà intellettuale il suo maggior pregio, con protagonista un artista in grado di esprimere anche il sorriso della quieta disperazione.


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