C’è acqua sulla Luna. La scoperta è stata annunciata dalla Nasa che ha dichiarato di aver trovato il liquido fondamentale per la nostra sopravvivenza grazie al telescopio volante Sofia. La presenza di H2O è confermata dalle dichiarazioni fatte durante la conferenza stampa che è stata trasmessa in streaming televisivo dalla stessa agenzia americana. L’acqua è presente principalmente nelll’emisfero sud del satellite terrestre e ce ne sarebbe anche parecchia.
Sofia, il telescopio volante
Sofia è un telescopio volante non orbitante con circa 2 metri e mezzo di apertura montato su una struttura che ha una speciale apertura di diversi metri che permette al telescopio di guardare la nostra galassia. Il telescopio vola sia nell’emisfero sud che in quello nord della terra e quindi osserva il cielo da 12.500 metri di altezza.
C’è acqua sulla Luna, lo dice anche l’Università del Colorado
“L’acqua sulla Luna c’è per davvero e potrebbe essere più accessibile del previsto”. La svolta per le future missioni umane arriva da due studi pubblicati sulla rivista Nature Astronomy. Il primo, coordinato dalla Nasa, dimostra la scoperta inequivocabile della ‘firma’ della molecola di acqua rilevata per la prima volta sulla Luna dal telescopio volante Sofia. Il secondo studio, condotto dall’Università del Colorado, stima invece che oltre 40.000 chilometri quadrati di superficie lunare potrebbero intrappolare acqua sotto forma di ghiaccio in piccole cavità ombreggiate.
Ricerche precedenti avevano indicato la possibile presenza di acqua sulla superficie lunare, soprattutto vicino al polo Sud, ma gli strumenti usati per le rilevazioni non permettevano di distinguere se il segnale derivasse dalla molecola d’acqua H2O o dall’idrossile (OH) legato ai minerali. Il telescopio Sofia ha risolto il mistero analizzando lo spettro della Luna a una lunghezza d’onda di 6 micrometri a cui l’acqua non può più essere confusa con altro. “Aver visto la firma spettrale della molecola d’acqua è un grande passo avanti, perché ci permette finalmente di risolvere una questione aperta da anni”, commenta Enrico Flamini, presidente della Scuola Internazionale di Ricerche per le Scienze Planetarie (IRSPS) presso l’Università di Chieti-Pescara.