Nel 2020, Paulo Costa, portiere a Rio de Janeiro, fu arrestato e accusato di 62 crimini, inclusi due omicidi. L’uomo, senza precedenti penali, ha trascorso tre anni in prigione prima che la Corte Suprema riconoscesse l’errore. La sua unica “colpa”? Essere identificato tramite una foto mostrata a testimoni, una pratica controversa e poco regolamentata.
Paulo Costa: il ruolo delle foto nel sistema giudiziario
La polizia brasiliana utilizza comunemente “album sospetti”, raccolte di immagini spesso prese dai social media. In alcuni casi, foto di persone innocenti venivano incluse senza criteri chiari. Un metodo, già criticato per la sua inefficacia, utilizzato in centinaia di condanne ingiuste, molte delle quali riguardano persone di colore.
Pregiudizi razziali, memoria fallibile rovinano Paulo Costa
Gli esperti sottolineano che queste pratiche riflettono un pregiudizio razziale sistemico e si basano su una memoria umana altamente fallibile. Gli errori giudiziari non sono rari, e il caso di Costa ne è un esempio emblematico. Secondo il Consiglio Nazionale di Giustizia, il riconoscimento fotografico non dovrebbe mai essere l’unica prova utilizzata.
Le conseguenze per le vittime
Costa, padre di due figli, lotta per riprendere una vita normale. Anche dopo la sentenza della Corte Suprema, rimangono 10 accuse pendenti. Senza un lavoro stabile e con udienze in corso, la sua vita è segnata da incertezze e difficoltà. “La mia vita è stata distrutta perché sono nero e povero,” ha dichiarato.
Un sistema da riformare
Il caso di Paulo Costa evidenzia la necessità di riforme profonde nel sistema giudiziario brasiliano. Linee guida più rigorose, indagini più approfondite e la rimozione di pratiche discriminatorie sono essenziali per evitare ulteriori ingiustizie. Nel frattempo, Costa continua a lottare per riabilitare il suo nome e costruire un futuro per sé e la sua famiglia.