La Spagna di Sánchez: il peggio deve ancora venire

La Spagna di Sánchez

Sánchez ha venduto la Spagna a chi la odia, stringendo un patto con i “diavoli” in cambio della sua investitura a presidente del Governo. Di fronte a tale aberrazione, gli spagnoli, quelli che sì credono nell’unità nazionale, sono scesi in piazza e gli scontri con la polizia non si sono fatti attendere.

L’accordo concluso da Sánchez e il leader del partito secessionista catalano Junts per Catalunya, Carles Puigdemont, prevede come principale accordo politico una legge di amnistia che presumibilmente sarà registrata lunedì prossimo. Questa amnistia significa l’estinzione della responsabilità civile oltre all’estinzione di un’eventuale responsabilità penale, anche se non c’è ancora alcuna condanna e quindi i responsabili dei crimini amnistiati non verrebbero nemmeno processati. Cioè, il referendum illegale del 1° ottobre 2017, i reati di ribellione e sedizione, nonché tutti gli altri reati contro l’ordine pubblico e di prevaricazione, falsità, appropriazione indebita di fondi pubblici, disobbedienza o rivelazione di segreti saranno semplicemente annullati. E non solo, chiedono pure un risarcimento! E naturalmente le concessioni non finiscono qui.

Già il 2 novembre è stato raggiunto un accordo tra PSOE e la Sinistra Repubblicana della Catalogna (ERC): sette voti per la causa di Sánchez per condonare il debito di 15.000 milioni di euro della Comunità Autonoma della Catalogna e un’altra serie di concessioni come l’amministrazione dei treni regionali, la gestione del sistema sanitario e pensionistico (anche se i pagamenti dovrebbero continuare a essere effettuati dallo Stato spagnolo) o la partecipazione diretta della Catalogna alle istituzioni europee e ad altre organizzazioni e organismi internazionali. Allo stesso tempo, continuano a chiedere il riconoscimento della Catalogna come nazione e, di conseguenza, il riconoscimento del catalano come lingua ufficiale. Se l’anno scorso è stata la Corte di Giustizia della Catalogna a doversi occupare di permettere alle 48 classi delle 27 scuole (su un totale di 5.500 scuole in Catalogna) di rispettare la legge che impone di insegnare il 25% delle classi in castigliano, cosa succederà d’ora in poi a coloro che vogliono che i loro figli, o loro stessi, possano studiare e parlare in spagnolo?

Poi c’è la vendita ai Paesi Baschi. Sánchez si è impegnato a negoziare il “riconoscimento nazionale” di Euskadi. L’accordo, con un programma di adempimento molto rigido, prevede la gestione del servizio sanitario senza pagarne le spese e delle ferrovie, più potere per la polizia autonoma dei Paesi Baschi (l’Ertzaintza) la modifica dello Statuto dei Lavoratori affinché gli accordi baschi prevalgano su quelli statali, una maggiore presenza di Euskadi nei forum internazionali, soprattutto a livello dell’Unione Europea e, tra l’altro, è stato concordato un finanziamento di 100 milioni di euro in quattro anni alle istituzioni basche per l’adattamento del basco alla nuova era digitale. E non dimentichiamo che due anni fa Sánchez ha affidato la gestione delle carceri alla Comunità Autonoma Basca e non dobbiamo nemmeno dimenticare che Sánchez ha portato tutti i detenuti dell’organizzazione terroristica ETA (Euskadi Ta Askatasuna), tranne una, nei Paesi Baschi e in Navarra. Non sorprende, quindi, che quando i membri dell’ETA escono di prigione vengono acclamati ma molte vittime del terrorismo non possono tornare in patria. Solo nella prima metà di quest’anno, il Collettivo delle vittime del terrorismo (COVITE) ha registrato un totale di 221 atti di sostegno all’ETA. Ma cosa ci sorprende? Quest’anno durante la commemorazione delle vittime del terrorismo né il portavoce del Partito Nazionalista Basco (PNV) al Congresso, Aitor Esteban, né il deputato dell’EH Bildu, Jon Iñarritu, si sono degnati di applaudire le vittime. Come potrebbero farlo se non condannano gli oltre 850 omicidi commessi dall’ETA? Intanto Sánchez tace.

Di fronte a questa situazione, vedendo la Spagna venduta a pezzi, migliaia di spagnoli con la bandiera in mano sono scesi in piazza per dire un sonoro “no” alle concessioni a coloro che vogliono porre fine all’unità della Spagna. Quello di oggi sarà il nono giorno di manifestazioni, anche se si prevede che domenica, con le manifestazioni indette dal PP e sostenute da Vox, in tutte le capitali iberiche, si batterà il record di partecipazione. Le manifestazioni si sono svolte da nord a sud, ma ovviamente le più numerose e conflittuali si stanno svolgendo a Madrid, davanti alla sede del PSOE dove, oltre a migliaia di cittadini che manifestavano pacificamente, erano presenti anche gruppi di estrema destra, come la falangista Isabel Peralta, riscaldando l’atmosfera.

Insomma, una settimana calda che dimostra una società divisa. Infatti i sindacati di polizia Jupol e UFP hanno chiesto il licenziamento o le dimissioni del delegato del governo a Madrid, Francisco Martín, per in questione di minuti “aver dato l’ordine” lunedì scorso di caricare e usare fumatori di occultamento ATF e gas lacrimogeni ATL contro i manifestanti. Le associazioni sindacali di polizia ritengono “sproporzionato” l’utilizzo di questo gas e sottolineano che non è stato utilizzato in altre situazioni più gravi, riferendosi alle famose manifestazioni di Barcellona in cui i manifestanti spararono addirittura contro un elicottero. “L’ordine allora era di resistere, anche se ci massacravano letteralmente, mentre nella sede del PSOE ci è stato ordinato di utilizzare materiale antisommossa che non veniva utilizzato da molti anni”, si legge nel comunicato. E poiché in Spagna è impossibile mettersi d’accordo su qualsiasi cosa, da parte sua il Ministero degli Interni invece difende l’uso dei gas e lo definisce una misura proporzionale. Tensione, malcontento, rabbia… Questo è ciò che si vive oggi nelle strade di Spagna. E, a quanto pare, il peggio deve ancora venire.