Notizia di ieri è che due cuginette, di appena 13 anni, sono state violentate da un gruppo di adolescenti al Parco Verde di Caivano, in provincia di Napoli. Violenze feroci, odio, femminicidi come una pandemia, tante donne uccise per mano di uomini in maniera inaudita. Ecco che dalle cronache cittadine spuntano i nomi di Anna, Vera, Celine, donne che forse avrebbero potuto salvarsi dalla mano assassina dei loro uomini. “Non abbiamo saputo o potuto difendere. Ecco perché siamo tutti chiamati a sentirci più responsabili e a fare qualcosa. Perché nessuna violenza o litigio è un fatto privato. Alle autorità chiediamo che non accada più“, ha detto nell’omelia del funerale di Anna Scala, la 56enne uccisa a coltellate dall’ex compagno a Piano di Sorrento. don Maurizio Esposito.Secondo L ‘OnuDC, l’ufficio delle Nazioni Unite che si occupa di droga e crimini, nel mondo le donne uccise da un marito, un fratello e un fratello, nel 2020 : una donna ogni 11 minuti.
Chiediamo cosa stia succedendo a Maurizio Cardona, noto avvocato divorzista che da sempre si occupa di diritto di famiglia, ma anche di violenza contro le donne, di violenza assistita e di diritti dei minori.
Avvocato Cardona, cosa sta succedendo? Il Codice Rosso funziona?
Il dato più evidente di questi ultimi giorni è che la violenza in ambito familiare continua ad essere la forma di violenza più impattante nella nostra società ed è quella che più ci inquieta. Al di là dei dati, la cronaca ce lo conferma tutti i giorni e a farne le spese sono prevalentemente le donne. Il numero degli omicidi commessi dal partner o ex partner continuano ad essere una costante che non accenna ad arrestarsi. La legge 69 del 2019 (nota come “Codice Rosso” )era stata percepita e accolta come una speranza di cambiamento contro la violenza domestica e di genere. Erano state inasprite le pene, accelerati i tempi procedurali per l’avvio del procedimento penale per alcuni reati: tra gli altri maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale, con l’effetto che dovevano essere adottati più celermente eventuali provvedimenti di protezione delle vittime. Ma evidentemente non è stato abbastanza. Sull’onda emotiva dei casi di cronaca, le forze politiche (compatte) si stanno attivando per far approvare una nuova legge che punti ancora di più sulla prevenzione, diminuendo ulteriormente i tempi per la valutazione del rischio da parte dei magistrati e per l’adozione più celere delle misure cautelari. Questa presa di consapevolezza è sicuramente lodevole ma la vera sfida non può che essere quella culturale.
Dice che c’è ancora una piaga culturale?
Non possiamo più permetterci di rischiare che una separazione si trasformi in un femminicidio. Qual è la soglia di violenza che dobbiamo considerare pericolosa? E soprattutto, chi la stabilisce? Quante volte bisogna denunciare per vedere una vera protezione? Lo sappiamo bene che quando chiediamo un ordine di protezione può essere già tardi.
La verità è che non si vincerà mai questa battaglia se non verranno fatti grandi investimenti nella cultura dell’uguaglianza di genere e del rispetto dei diritti. Le relazioni affettive sono sempre state espressioni del loro tempo. Lo sono ancora, ma purtroppo di un tempo antico nel quale la cultura maschilista e patriarcale è sempre stata dominante. Si dovrebbe accettare con serenità la fine di una relazione come fatto naturale (e talvolta necessario )per il benessere della coppia e dei figli. Da avvocato ma principalmente da uomo, azzardo a dire che l’eccezione sia lo stare insieme tutta la vita. Forse più che i grandi amori si vivono le grandi passioni che, come sappiamo, sono destinate a finire velocemente.
Viviamo in una società con un retaggio maschilista in cui la donna è vista come oggetto del possesso ed è discriminata?
Quello che posso dire, dal mio punto di vista e in relazione alle innumerevoli situazioni che mi raccontano, è che l’amore vero è un sentimento raro, prezioso, difficile da coltivare e più facile da sognare. L’idea del “per sempre” della nostra tradizione cristiana, di per sé bellissima, si scontra con l’idea barbara del “possesso” dell’altro e spesso è la donna a farne le spese. Nessuno può essere costretto a rimanere in una relazione che non risponde più ai propri bisogni o alla propria speranza di felicità.
Nessuno può essere costretto a subire violenze psicologiche, fisiche ed economiche. Molte volte ci troviamo di fronte a impegni seri, qualche volta presi al cospetto di Dio ma che di fronte alla vita che cambia, si piegano e si perdono. Il diritto di riprendersi la vita in mano per capire dove andare è un diritto sancito dalla legge oltre che dalla nostra coscienza. Ma quando uno dei due ha questa concezione patriarcale del legame ecco che in nome dell’amore si consumano i peggiori conflitti e le peggiori violenze. Per questi soggetti anche solo pensare all’idea della separazione e del distacco diventa impossibile da accettare o anche solo da comprendere. Forse ancora oggi rischiamo di essere troppo condizionati e “prigionieri” del concetto di “indissolubilità” dei legami, elemento costitutivo del matrimonio cristiano e della nostra tradizione culturale. Ci sono uomini che in una relazione sentimentale fanno fatica a riconoscere “l’altro” e manifestano un vero e proprio atteggiamento possessorio e di dominio. Parliamo di uomini che al momento della separazione fanno fatica ad accettare l’idea di essere lasciati, perché sono loro che pensano di poter dire l’ultima parola.
Manca la capacità di girare pagina ed accettare che un rapporto finisce?
La verità è che i rapporti raramente sono “per sempre” e soprattutto a “tutti i costi” e quando, per tanti motivi, una storia d’amore si trasforma in una storia di sofferenza, bisogna imparare a prenderne atto e ricominciare a vivere. Il divorzio non sempre si sceglie e al di là dei torti o delle ragioni, è un fatto umano che come tutti i fatti umani capitano e devono essere affrontati. Ci sono in gioco vite, legami, figli, soldi, spesso la propria stessa sopravvivenza. Ci sono in ballo tante cose e le emozioni qualche volta rischiano di giocare brutti scherzi. È un saliscendi di stati d’animo diversi, di rabbia, di sconforto, di paura, di arroganza e perfino di volontà di vendetta.
In certi contesti si rischia di tirare fuori il meglio ma anche il peggio di ciò che siamo. Il momento della separazione è il momento spesso della resa dei conti, è il momento per fargliela pagare. Ma a quale prezzo? Un prezzo che si fa fatica a quantificare e il più delle volte non viene considerato. Nel momento del divorzio ci scopriamo nei modi più strani spesso incapaci di fare analisi lucide su quello che è stato e su quello che potrà essere, sui torti e sulle ragioni. Sappiamo bene che un amore può finire, talvolta anche male e che non è mai facile contenere il risentimento che ci pervade in tutto il corpo e nella mente. Ma quando quell’amore si trasforma in odio o disprezzo, tutto diventa più complicato e le porte del conflitto o addirittura della violenza si affacciano all’orizzonte.
Si è parlato molto spesso di “ultimo appuntamento a cui non andare “ per salvarsi dall’ultima spirale di violenza dell’uomo che poi commetterà reati di violenza contro la donna.
Durante alcune separazioni si avverte spesso un odore di pericolo imminente che rende manifesta l’inadeguatezza di uomini che non hanno gli strumenti – neanche quelli più elementari – per capire dove fermarsi e di un sistema giudiziario che arriva troppe volte tardi all’“ultimo appuntamento”. Quando “ammonisci”, quando metti un braccialetto elettronico, tenti di arginare una violenza che spesso c’è già stata.
L’inasprimento delle leggi è una misura sufficiente o serve qualcos’altro in un paese che ha nella pancia stereotipi e pregiudizi ed è ancora profondamente misogino? E’ora di diffondere, come ha ribadito il Ministro Valditara qualche giorno fa, la cultura del rispetto?
Quello che deve cambiare è il punto di vista culturale e l’acquisizione di una consapevolezza che spesso è difficile trovare: quando una donna trova il coraggio di denunciare, c’è bisogno di uno Stato presente che dia risposte immediate e che faccia sentire la sua presenza. Nonostante tutti gli sforzi fatti la verità è che non ci siamo ancora riusciti. Facciamo norme che parlano di parità di genere ma poi si respirano ancora oggi i retaggi di una società antica che è ancora piegata ad una subcultura della disuguaglianza.
La vera prevenzione non può che essere di tipo antropologico culturale e occorre dire basta con grandi investimenti sociali e umani. É ora di pensare al futuro, è ora di diffondere, come ha ribadito il Ministro Valditara qualche giorno fa, la cultura del rispetto, ma non solo il 25 novembre. Per tutti questi motivi solo un vero lavoro nei giovani, nei bambini, nella loro formazione, consentirà a questo Paese di fare un salto di livello significativo perché il rispetto della vita è il primo dei diritti da tutelare.
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