Addio a Michela Murgia. Cinquant’anni e dieci vite vissute

Un viaggio di non ritorno. Un carcinoma al rene al quarto stadio che aveva deciso di rendere pubblico durante un’intervista al Corriere della Sera. E poi gli ultimi mesi “raccontati”, giorno per giorno di fronte a una malattia che non dà scampo.

Dalla prima ciocca di capelli caduta per effetto delle terapie (“Stamattina la sardità dei miei capelli ha ceduto ed è caduto il primo ciuffo. Con l’ultimo barlume del taglio abbiamo girato i lanci social di Tre ciotole” raccontava su Instagram) fino al matrimonio con rito civile “in articulo mortis” con Lorenzo Terenzi, attore, regista, autore e musicista, conosciuto nel 2017 grazie a uno spettacolo teatrale in cui lei era la protagonista e lui lavorava alla regia.

Una vita, anzi dieci

Michela Murgia nasce a Cabras, in Sardegna, nel 1972.

L’esordio come scrittrice e drammaturga avviene nel 2004, di fronte a Papa Giovanni Paolo II, con uno spettacolo teatrale rappresentato a Loreto a conclusione del pellegrinaggio dell’Azione Cattolica, di cui era militante.

Nel frattempo, racconta in un blog la sua Sardegna e la sua sardità (Il Mio Sinis) ma anche i suoi mille mestieri tra cui quello di operatrice di call center. Questa esperienza diventerà poi un libro, nel 2006, dal titolo Il mondo deve sapere che ha poi ispirato l’opera teatrale omonima (di David Emmer, con Teresa Saponangelo) e la sceneggiatura del film Tutta la vita davanti di Paolo Virzì.

Per Einaudi ha poi pubblicato Viaggio in Sardegna. Undici percorsi nell’isola che non si vede (2008).

Il successo

Il successo letterario arriva l’anno successivo, nel 2009, con il romanzo Accabadora. Ambientato nella Sardegna rurale degli anni Cinquanta, è incentrato sulla figura della “femina accabadora” che, secondo la tradizione dell’isola, veniva chiamata dalle famiglie a dare la morte, attraverso una eutanasia rituale, a chi era giunto a fine vita.

Dopo questo bellissimo romanzo, con cui vince il premio Dessì, il Super Mondello e il premio Campiello, scrive saggi (Ave Mary, 2019), pamphlet (Istruzioni per diventare fascisti e Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più) e poi ancora romanzi come Chirù del 2015. Ha inoltre collaborato alle antologie Presente (2012) e Sei per la Sardegna (2014). Ha pubblicato anche L’inferno è una buona memoria (Marsilio, 2018), Noi siamo tempesta (Salani, 2019) e, con Chiara Tagliaferri, Morgana (Mondadori, 2019).

Con la diagnosi del cancro si apre Tre Ciotole, il suo ultimo libro uscito il 16 maggio per Mondadori, presentato all’ultima edizione del Salone del Libro di Torino.

Celebrare Michela Murgia attraverso la lista delle sue opere, tuttavia, è assai riduttivo. Perché se è vero che i suoi libri, i suoi lavori teatrali e tutti i suoi progetti sono la sintesi della sua vita raccontata attraverso le parole, è altrettanto vero che questi lavori sono stati il lato concreto delle sue battaglie. Per una maggiore parità di genere, per una maggiore inclusività, per dare centralità alla figura della donna attraverso una nuova narrazione della storia sacra.

La morte non le pare un’ingiustizia?” chiedeva Aldo Cazzullo durante l’intervista al Corriere del 6 maggio scorso”. “No,” ha risposto. “Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite. Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera. Cose che non sapevo neppure di desiderare. Ho ricordi preziosi”.

Grazie mille, Michela! Grazie di aver condiviso i tuoi ricordi e i tuoi pensieri con tutti noi.

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