Il cinema è da sempre uno strumento d’intrattenimento che accompagna la vita delle persone. Negli anni non sono mancati titoli in grado di denunciare le condizioni in cui le classi lavoratrici hanno dovuto guadagnarsi da vivere. La settima arte ha attraversato il tema impiego rappresentando epoche e diverse professioni. Da Sciopero, pellicola del 1927 ai recenti lavori di Kean Loach l’argomento Impiego è stato sviscerato in maniera puntuale ed esaustiva. Il cinema italiano ha aggiunto molti titoli alla filmografia riscuotendo, con registi quali Elio Petri o Ermanno OImi, ottimi risultati. Il creativo che ha raccontato l’impiegato assoluto rimane però Paolo Villaggio. Il Ragioniere Ugo Fantozzi rimane il prototipo dell’alienato che, arrivato a metà anni settanta, anticipava le conseguenze di alcune derive aziendali. I titoli della saga sono molteplici e non tutti di estremo spessore, per un’immersione nella dimensione impiegatizia italiana occorre approfondire i primi due film e il sesto.
Riconosciuti come i migliori capitoli della saga creata da Paolo Villaggio, non possono essere taciuti. Sarebbe inutile soffermarsi sulla trama che è da sola un pezzo di storia del cinema, un esercizio interessante è scoprire cosa Salce aggiunge alle vicende del ragioniere più vessato e cattivo del Belpaese. Una sequela di episodi che descrive perfettamente, estremizzandola solo un po’ la vita lavorativa e personale di molte famiglie. In scena vanno dirigenti e sottoposti, con tutte le loro invidie e i loro rancori. Un universo lavorativo in piena regola che accompagna l’esistenza di professionisti e dilettanti, spesso vuoti, mostrando incomprensioni tra colleghi e frustrazioni personali in chiave ridicola.
Il suggerimento è di leggere gli splendidi romanzi da cui sono tratti i film e confrontarli con lo stile del regista. Il lavoro più difficile per Salce è stato elevare le intuizioni dell’autore Villaggio trasformando in un classico visivo le vicende banali di un uomo medio attraverso le parole del suo attore protagonista che è anzitutto inventore di se stesso. E’ lo stesso autore del romanzo ad accompagnare gli spettatori con una voce off utilizzata per introdurre i capitoli di cui sono formati i due film.
Fantozzi va in pensione termina la carriera lavorativa del ragioniere e rimane un esempio di come la vita di un essere umano possa essere plasmata dalla sua professione. Arrivato alla pensione Ugo deve fare i conti con il suo troppo tempo libero e il cambiamento di quella routine che, benché odiata, era tutta la sua vita. Sceneggiato da Benvenuti e De Berardi il film è una riflessione su quanto il lavoro possa trasformare gli individui. Si ride in maniera malinconica e soprattutto si mostra come la pensione vada considerata lavoro a titolo effettivo. Puntuale nell’intercettare il cambiamento della società Villaggio racconta le disavventure di Fantozzi e i suoi colleghi. Sorrisi e malinconia in cui è facile identificarsi come il desiderio di tornare a lavorare del protagonista che si scontra con un mondo che non è in grado di valorizzare gli anziani e la loro esperienza.