Madre coraggio dedica anima e corpo alla promozione del suo bambino. Il piccolo è dotato di un talento calcistico fuori dal comune e la donna farà di tutto per procurare l’esibizione che potrebbe cambiare la vita a entrambi. Mancino naturale, l’esordio di Salvatore Allocca, è un film che porta con sé la saggezza della verità. Isabella è una vedova riconoscibilissima, che vive con Paolo in una casa popolare di Latina, basterebbe questo per trasportare il film nella realtà ma Allocca va oltre. Attraverso una regia quasi documentaristica l’esordiente decide di dare importanza a quella semplicità, spesso tradita dagli autori, in grado di suscitare empatia nel pubblico.
Una carriera da professionista per Paolo vorrebbe dire il riscatto di Isabella che identifica nel successo del figlio l’unica via di fuga da quella dimensione poco attraente. Nel film la donna fa quello che farebbe ogni madre e lo fa in maniera scomposta ma coerente arrivando anche a umiliarsi perché conscia dell’importanza di quel piccolo Maradona. Attraverso una sceneggiatura puntuale il film procede ad un’analisi psicologica dei personaggi non lesinando soprattutto difetti e mancanze. La coerenza di Isabella è notevole ma non permette alla donna di valutare il totale.
Paolo è un adolescente difficile che, a margine della sua passione, necessiterebbe dell’accettazione tra quei coetanei che potrebbero agevolare il suo viaggio verso la notorietà. Il ragazzino però fatica ad aprirsi con la mamma che sembra focalizzata solo sulla sua carriera. Mancino è cinema dagli echi neorealistici vivi grazie ad un ottimo lavoro di Allocca ma anche grazie alla naturalezza con cui Claudia Gerini propone la sua Isabella. Sullo schermo va il ritratto di una famiglia come tante dove tragedie e frustrazioni possono trovare risposta nel talento, che troppo spesso rende ciechi solo perché viene vissuto come ultima e unica risorsa. Un film in grado di emozionare e di far riflettere dotato di ottimi dialoghi e di una particolare malizia nello sfruttare la comunicazione non verbale. In Mancino è l’onesta della narrazione a colpire soprattutto quando non ha paura di mostrare quanto possa essere reale la disonestà.