Ex militare esce dalla galera dopo aver imparato a fare Dustin Hofmann in Rainman. Al fresco affina l’abilità nel contare le carte e legge Marco Aurelio, una volta fuori diventare giocatore professionista è logica. William Tell ha interiorizzato il filosofo, punta poco e vince poco. Questo accontentarsi non provoca grandi guai e gli permette di sopravvivere, ma una ragazza lo riporterà sulla cattiva strada. La sua nuova conquista lo convince ad aumentare la posta e l’uomo accetta.
Il collezionista di carte, ultimo film di Paul Schrader, è un viaggio nel senso di colpa e nella redenzione . Il protagonista affronta la sua personale discesa verso la consapevolezza di dover accettare una colpa che arriva da lontano e fa parte di un gioco più grande di lui. Schrader , sublime cantore degli ultimi, ci mette cinque minuti per far capire quanto alcuni universi , fatti di brillantezza apparente, nascondono una violenza fatta di frustrazione, latente e pronta ad esplodere.
Il passato di Wiliam è quella vita militare che avrebbe dovuto preservare un onore inesistente, il presente, solitudine azzardo e hotel di seconda scelta. La ricerca di una redenzione a quel passato anima il protagonista solo quando un sentimento palesa ancora la sua ipotesi. La sceneggiatura dello stesso Schrader è minimale, parole che disegnano personalità imperfette si alternano ai silenzi (soprattutto del protagonista) imprescindibili per creare la corretta atmosfera.
La prova di Oscar Isaac nel ruolo del protagonista è illuminante perché priva di luce, lavorando sugli sguardi l’attore riesce a creare un perdente alla deriva come non se ne vedevano da qualche tempo. Un pezzo d’America con le palle che il regista racconta in maniera accurata, come sempre, e onesta toccando il cuore del vero cinema. Il film non ha alcuna tesi essenziale, si limita a riflettere sul passato e su quanto le colpe non abbandonate possano rovinare il futuro.