Anziano in preda alla demenza senile torna a vivere con il figlio e la sua famiglia. Passare dalla sua fattoria a essere ospite in casa altrui non è facile per l’uomo che manifesta presto la sua vera natura. John, il figlio, ha un marito e una figlia adottiva con i quali hanno sviluppato un rapporto sereno e l’arrivo del padre porta a galla vecchie ruggini mai sopite. Esordio alla regia per Viggo Mortensen, Falling è un dramma psicologico dove le incomprensioni sono protagoniste.
La storia di Willis e il suo vecchio stile sono un pretesto per affrontare la differenza del punto di vista tra le persone. Il carattere rude e intollerante del padre si scontra con quello di un uomo adulto che aveva abbandonato la visione parziale del genitore a favore di una più ampia tolleranza. La malattia e la solitudine costringono John a rispettare il suo ruolo e fingere una convivenza pacifica destinata a frantumarsi.
Mortensen confeziona un’opera interessante, dove si analizza il confine dei sentimenti e delle scelte che questi comportano. Fino a che punto è giusto rinnegare se stessi per un essere umano anche se proprio padre? Una sceneggiatura difficile da digerire che evita la retorica concentrandosi su quello che si dice e non che si dovrebbe dire.
La regia accompagna un’ottima recitazione evitando virtuosismi inutili mentre il ritmo a parabola sintetizza gli scatti d’ira dell’anziano, prove cui il protagonista non può sottrarsi. John e la sua famiglia sono testimoni pazienti di una deriva mentale e fisica cui il vecchio uomo è condannato, fino a un finale ipotizzabile.
Percepire la vita è una dote soggettiva che spesso non è possibile condividere, questo il regista lo sa ed è la compassione il collante della sua rappresentazione. Falling è in grado di toccare le coscienze dello spettatore senza edulcorare nemmeno gli insulti che un rapporto non deciso come genitore \figlio porta in dote.