Un soldato inglese viene condannato a morte dall’Ira . L’uomo stabilisce un rapporto particolare con il suo carnefice arrivando a condividere con lui ricordi ed emozioni. Prima dell’esecuzione chiede all’irlandese di andare a trovare la sua fidanzata a Londra per spiegare cosa è realmente accaduto. Fergus, l’uomo dell’esercito repubblicano, manterrà la promessa.
La moglie del soldato è l’indiscusso capolavoro di Neil Jordan, il regista riesce nell’impresa di raccontare la faida d’Irlanda senza alcuna tesi assoluta. Un film malinconico che trova la sua forza negli inserti ironici con cui propone senza imporre una vicenda di sentimenti e passioni, a volte violente, che superano il volere dei protagonisti.
I dialoghi invocano tutte le debolezze e le qualità dell’uomo senza dar loro contorni definiti. La politica si fonde all’amore e all’onestà regalando un’interpretazione indefinita dei comportamenti e raccontando la perenne improvvisazione delle scelte cui la vita costringe. Meritatissimo premio oscar alla sceneggiatura per un lavoro che risulta asciutto e lineare pur affrontando temi eterogenei.
La regia di Jordan accompagna lo spettatore senza dover imporre alcuna scena maestosa o particolarmente melensa, la telecamera si limita a raccontare le derive e come non solo tempo e luogo possano fare la differenza per uomini e donne. Ottima prova di Stephen Rea e Forrest Whitaker (nel ruolo dei due soldati) cui si affiancano Jaye Davidson e Miranda Richardson.A tratti filosofico il film di Jordan è un affresco di fine secolo, dove le tradizioni mutano fino a far dubitare della loro stessa esistenza. Un lavoro che merita di essere visto perché in grado di riappacificare il dubbio con la convinzione.