Dai “Ragazzi Italiani” a oggi, Attilio Fontana di strada ne ha fatta parecchia: oggi è cantautore, attore, cantante e performer.
Dall’esordio a soli diciassette anni in “Papaveri e papere”, programma condotto da Pippo Baudo, ad attore in teatro e protagonista di serie TV, fino al cantautorato.
Al telefono mi colpiscono la sua grande umiltà e gentilezza, mentre mi racconta del suo ultimo album acustico “Sessioni segrete”, che ci riporta languidamente in un’atmosfera fumosa, come a sentire nostalgia della musica “vera”, quella dal vivo.
L’album, composto da 10 brani sarà accompagnato da dodici video “live” di “Sessioni Segrete”, con la registrazione “one shot” di ogni brano (dogma del progetto), che saranno pubblicati online con una cadenza settimanale fino a febbraio/marzo 2021, insieme a racconti e “segreti” per ogni messa in onda.
L’artista ha creato questo album con Franco Ventura, chitarrista e coautore insieme a Roberto Rocchetti al pianoforte, e in alcuni brani a fare da special guest c’è Vera Dragone, co-proprietaria con Alessandro Casella dell’Ellington club, locale dove sono state effettuate le registrazioni.
Il primo singolo, la cover “Triangolo” di Renato Zero, è in rotazione radiofonica dal 4 dicembre.
Il progetto
Attilio, com’è nato “Sessioni Segrete”?
Nasce dalla frenesia di non riuscire a suonare dal vivo, dall’inquietudine di dover spostare in continuazione date, perché io quest’anno avrei dovuto avere 3 tournée teatrali e diversi live quindi vivendo ormai sul palcoscenico puoi immaginare la fatica di dover stare chiuso in casa.
E poi sognavo da sempre di fare un disco così, ovvero come si faceva una volta, con il vinile. Sono riuscito a prendere in affitto l’Ellington Club, un bellissimo locale di Roma, e grazie ai proprietari, che me l’hanno concesso, trasformarlo in uno studio di registrazione e fare queste sessioni live, anche se non c’era pubblico, se non i tecnici, e trasformarli in una sorta di live sia video che audio, facendo una sintesi di me in queste canzoni che sembrano quasi polaroid molto intense e soprattutto riassumendo il lavoro dei miei due album precedenti “Formaggio” e “A” che ho creato da cantautore, inserendo anche questa cover giocosa del “Triangolo” di Renato Zero.
Quindi c’era il desiderio di fare un disco che fosse una crociata contro l’algoritmo, contro questa ossessione dei numeri, della la velocità, una sorta di bottiglia di vino pregiato da bere con calma, voleva essere un antitetico all’overdose di autotune (manipolazione audio che corregge l’intonazione o maschera piccoli errori della voce, utilizzato anche per creare particolari effetti di distorsione, ndr) a cui siamo sottoposti ogni giorno.
Le canzoni
Tra le canzoni che hai registrato, qual è la tua preferita?
Ho un debole per “Dove sta” perché l’intro è bellissima, sembra di entrare in un disco di Nick Drake, senza scomodare gli dei, intendiamoci, però l’intro è molto interessante, ci sono solo due chitarre, la mia e quella di Franco Ventura, che è un grande chitarrista, con cui lavoro da 20 anni, e anche se siamo in due sembriamo in molti di più.
Anche “Tangolento” è un brano che reputo porta fortuna, la considero una canzone amuleto per salvarci dalle cose brutte.
Le prime due canzoni in scaletta sono queste e penso siano i due brani che contengono l’essenza di questo album.
La creatività
Come hai vissuto il lockdown?
Come ti dicevo, sono inquieto come un lupo in gabbia però essendo anche attore di teatro sono abituato a lavorare con il conflitto, quindi ho colto l’occasione per trasformare questo momento in un’opportunità di stare di più con la mia famiglia e riattivare la creatività, per fare progetti più creativi come progettare un album, scrivere uno spettacolo; ho fatto uscire un singolo con Clizia (Fornasier, la moglie, ndr.) durante il lockdown e le molecole creative, che erano un po’ stanche perché prima di essere rinchiuso in casa per cause di forza maggiore lavoravo molto, hanno ritrovato quell’energia vitale per poter mettere nuove idee sia su carta che sul palco.
Mi hai nominato la famiglia poco fa. Pensi che la paternità abbia cambiato il tuo modo di fare musica?
Il mio modo di fare musica senz’altro è più sicuro e maturo.
I tempi a disposizione sono molto più brevi, quindi devo concentrare il massimo in un piccolo spazio temporale e questo ha ottimizzato le mie tempistiche.
Io ero molto hippy nella creatività, magari un arrangiamento lo finivo anche in un mese, perdendomi tra i miei mondi invece ora devo essere “killer”: ho un solo colpo in canna e deve andare bene! (ride, ndr.)
Quindi forse ha migliorato la mia parte pragmatica.
Lucio Dalla
Hai collaborato con tanti artisti. Chi ti è rimasto nel cuore?
Senza dubbio Lucio Dalla perché per me era Zeus nell’Olimpo della musica, quando fui scelto nel cast di Tosca amore disperato, il suo musical, fu un regalo grande: ci pensavo sempre, volevo fortemente prendere parte a quello spettacolo.
È nata un’amicizia oltre che una collaborazione, abbiamo scritto dei brani insieme, e ho imparato il mestiere della vita e della musica insieme: Lucio era capace di abbattere le classi sociali, dialogare con tutti, trovare gli aspetti positivi nelle situazioni negative, è stato una sorta di faro sulla mia carriera.
I prossimi progetti?
Intanto voglio godermi queste “Sessioni Segrete” che considero un po’ un distillato di me, come la grappa, quindi bisogna aspettare che escano le gocce una per una. Vorrei portarlo live appena riapre il mondo, mi piacerebbe portarlo in giro con Franco e Roberto al pianoforte, e poter fare un concerto-racconto attraverso queste canzoni, accompagnate da monologhi.
Allora ti aspetto al Blue Note di Milano!
Magari! Sarebbe meraviglioso. Speriamo davvero.