Daniele Lucchetti apre la mostra del cinema di Venezia con il suo ultimo film Lacci. Tratto da un romanzo di Domenico Starnone racconta la crisi delle coppie post sessantotto. Sono i magnifici anni 80 e un marito tradisce la moglie avendo cura di confessare, i figli assistono inermi. Aldo è un giornalista senza passioni e bramoso di fama e Wanda una maestra precaria, dopo undici anni di matrimonio l’incomunicabilità li viene a trovare. Lui desideroso di evadere si rifugia a Roma dove comincia una relazione con la bella collega, lei tenta il suicidio per l’abbandono.
Dopo il divorzio di rigore Aldo passa un periodo di lontananza assoluta dai figli di cui non chiede nemmeno l’affidamento. Il tempo galantuomo attenua le velleità del giornalaio radiofonico che tornerà all’ovile per completare lo scempio della sua vita amorosa. Il film è una buona riflessione sulla famiglia e sulle velleità che il regista inquadra perfettamente nel personaggio maschile.
La parte pragmatica della vicenda è affidata alla moglie, suicidio a parte, adepta di una famiglia poco in voga nel 1985: quella tradizionale. La donna un po’ per solitudine e un po’ per lesa maestà costringe il marito a tornare per potersene andare lei stessa, cosa che non farà mai. Sullo sfondo due bambini crescono e si portano dietro rancori e frustrazioni che affrontano in maniera differente.
Un’opera delicata quella del regista romano che riesce a tenere alta l’attenzione dello spettatore utilizzando sapientemente i salti temporali e una buona serie di dialoghi. Si vede la coppia protagonista nel pieno della loro tragedia e li si ritrova da anziani quando qualsiasi sensazione è svanita e l’attesa si accompagna al rimpianto. Fino a qui sarebbe l’ennesima cronaca di un fallimento ipotizzabile, il valore aggiunto di chiudere il cerchio dando la parola ai figli (cresciuti) impegnati in una ribellione è il valore aggiunto a tutta la vicenda. Cast di professionisti su cui spicca Luigi Lo Cascio per la sua recitazione quieta e riflessiva.