Gaza come nuovo confine: Trump esporta la sua politica di espulsione di massa

Dal confine americano alla Striscia di Gaza, Trump trasforma la deportazione in un'arma politica globale

Donald Trump torna a fare notizia con proposte che alimentano divisioni e sofferenze. Dopo aver applicato politiche discriminatorie negli Stati Uniti, ora sembra voler esportare la stessa logica crudele in Palestina, suggerendo un piano di “ripulitura” della Striscia di Gaza. Sì, ha usato proprio quella parola, “ripulitura”, un termine che evoca spettri storici di genocidi e deportazioni di massa.

Le sue parole, pronunciate durante una conversazione a bordo dell’Air Force One, sono state chiare, i due milioni di palestinesi che abitano la Striscia di Gaza dovrebbero essere trasferiti in Egitto o Giordania. Secondo Trump, i palestinesi “vivrebbero meglio altrove”, lontano da quello che ha definito un “inferno” perpetuo. Ma ciò che il Presidente sembra ignorare, o peggio accettare, è che quell’”inferno” non è un destino inevitabile, bensì una conseguenza diretta di decenni di bombardamenti e politiche oppressive. La sua proposta non è altro che una fuga dalla realtà, un tentativo cinico di mascherare l’ingiustizia sotto una presunta soluzione umanitaria.

Deportazioni come risposta alla sofferenza?

Questa non è la prima volta che Trump flirta con idee autoritarie e disumanizzanti. Negli Stati Uniti, la sua amministrazione si è distinta per la separazione delle famiglie di migranti al confine con il Messico e per i campi di detenzione che hanno visto bambini rinchiusi in condizioni disumane. Ora, con il suo piano per Gaza, sembra voler replicare quella stessa brutalità su scala internazionale.

La deportazione di massa proposta da Trump non tiene conto della storia e della dignità del popolo palestinese, né delle complesse dinamiche della regione. Trasferire due milioni di persone significherebbe infliggere un’altra ferita profonda e indelebile. Significherebbe privare i palestinesi della loro terra, delle loro case e del loro diritto fondamentale all’autodeterminazione. Significherebbe, in sostanza, un altro atto di pulizia etnica mascherato da pragmatismo politico.

Il silenzio sulla soluzione dei due stati

Trump ha anche evitato di rispondere a una domanda cruciale: crede ancora nella soluzione dei due stati? Il suo silenzio lascia intendere che la risposta sia no. Il piano di deportazione contraddice completamente qualsiasi prospettiva di pace duratura basata su un accordo equo tra israeliani e palestinesi. Al contrario, la sua visione alimenta una narrativa che favorisce l’estrema destra israeliana, rappresentata da figure come Bezalel Smotrich, il ministro delle Finanze, che ha definito la proposta “un’ottima idea”.

Ma chi paga il prezzo di queste “ottime idee”? Non certo Trump o Smotrich, bensì milioni di persone innocenti che hanno già sofferto abbastanza.

Il rifiuto internazionale

Fortunatamente, la comunità internazionale non è rimasta in silenzio. Paesi come Egitto e Giordania hanno espresso un netto rifiuto del piano di Trump. Il ministro degli Esteri giordano, Ayman Safadi, ha ribadito una verità semplice ma potente: “La Giordania è per i giordani e la Palestina è per i palestinesi”. Queste parole riflettono non solo un rifiuto della proposta di Trump, ma anche una difesa del diritto dei palestinesi a restare nella loro terra.

Un futuro da costruire, non da distruggere

La soluzione al conflitto israelo-palestinese non passerà mai attraverso deportazioni, violenze o imposizioni. La pace richiede giustizia, dialogo e il riconoscimento dei diritti di entrambe le parti. Ma Trump, con la sua visione distorta e autoritaria, dimostra di non essere interessato a costruire ponti. Preferisce distruggere ciò che resta, alimentando divisioni e sofferenze.

Il mondo deve respingere con forza queste proposte disumane. La deportazione di massa non è una soluzione, è un crimine contro l’umanità. E come tale, non può e non deve essere accettata.