Il rilascio di Osama Almasri Njeem, alto ufficiale libico accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, da parte dell’Italia è un fatto che scuote le fondamenta della giustizia internazionale. Arrestato a Torino il 19 gennaio 2025 su mandato della Corte Penale Internazionale (CPI), Almasri avrebbe dovuto essere consegnato alla giustizia per rispondere di accuse che includono torture, stupri e persecuzioni. Invece, il suo rilascio e il trasferimento segreto in Libia due giorni dopo rappresentano una grave violazione degli obblighi internazionali dell’Italia.
Lo Statuto di Roma, un impegno disatteso
Firmataria dello Statuto di Roma, l’Italia ha assunto un impegno solenne per garantire che i responsabili di atrocità internazionali non restino impuniti. L’articolo 89 dello Statuto impone agli Stati parte di soddisfare le richieste di arresto e consegna emesse dalla CPI. Eppure, nel caso di Almasri, queste responsabilità sono state clamorosamente ignorate, tradendo la fiducia delle vittime libiche che attendono giustizia.
Il silenzio del governo italiano sulle ragioni di questa decisione è assordante. Non si tratta solo di una mancanza di rispetto per il diritto internazionale, ma di un tradimento morale verso le vittime dei crimini più gravi, che vedono sfumare la possibilità di un risarcimento simbolico per le sofferenze subite.
Un pericoloso precedente
La CPI dipende dalla cooperazione degli Stati membri per funzionare. Privata di una propria forza di polizia, la Corte si affida alla buona fede dei firmatari dello Statuto di Roma. Quando un Paese come l’Italia, con il suo ruolo centrale in Europa, si sottrae a queste responsabilità, il danno va oltre un singolo caso. Si alimenta l’idea che l’impunità sia tollerabile e che le vittime possano essere dimenticate.
Il caso Almasri si inserisce in un contesto globale già difficile per la giustizia internazionale. La CPI fatica a ottenere la collaborazione necessaria per eseguire i suoi mandati di arresto, con oltre 30 sospetti ancora a piede libero. Ogni atto di non-cooperazione, come quello italiano, indebolisce ulteriormente la Corte e ne mina la credibilità.
Un richiamo alla responsabilità
La comunità internazionale non può restare in silenzio di fronte a questa grave violazione. Organizzazioni per i diritti umani, cittadini e leader politici chiedono spiegazioni al governo italiano. La CPI, da parte sua, dovrebbe valutare di presentare una mozione per accertare la non-cooperazione dell’Italia e sottoporre il caso all’Assemblea degli Stati Parte.
Questa vicenda è un banco di prova per la volontà politica degli Stati di sostenere la giustizia internazionale. L’impunità non può prevalere sulla giustizia, e gli impegni assunti con lo Statuto di Roma non possono essere trattati come semplici formalità. Il mondo intero osserva, e ogni giorno che passa senza risposte è un altro giorno di ingiustizia per le vittime.