Di fronte al rinvio a giudizio della Ministra del Turismo, Daniela Santanchè, il dibattito politico italiano si trova nuovamente a confrontarsi con un dilemma cruciale: dove si colloca il confine tra il garantismo, principio fondante di ogni democrazia liberale, e l’etica pubblica, pilastro su cui poggia la fiducia dei cittadini nelle istituzioni?
L’episodio Visibilia, insieme alle altre inchieste che coinvolgono la ministra, ha sollevato una questione più ampia che trascende i confini del singolo caso giudiziario. Da una parte, la presunzione d’innocenza rimane un diritto inalienabile; dall’altra, chi ricopre incarichi istituzionali deve sottostare a un codice di condotta che garantisca la credibilità delle istituzioni stesse. L’Italia, purtroppo, si trova spesso a dover bilanciare questi due principi in un clima di polarizzazione politica.
Un problema strutturale
Il caso Santanchè non è isolato, ma rientra in un modello consolidato che vede la classe politica italiana frequentemente coinvolta in vicende giudiziarie. Da Andreotti a Berlusconi, passando per vicende recenti come quelle di altri ministri, l’opinione pubblica si è abituata a una narrazione in cui il confine tra responsabilità politica ed esiti giudiziari si confonde.
Tuttavia, è proprio questo contesto storico che rende ancora più urgente una riflessione. La fiducia nelle istituzioni è in calo: secondo gli ultimi dati ISTAT, meno del 30% degli italiani si fida del Parlamento e meno del 20% dei partiti politici. Questo declino è legato, almeno in parte, alla percezione di un doppio standard etico: rigore verso i cittadini comuni e indulgenza verso chi detiene il potere.
Garantismo e responsabilità politica
Il garantismo è un principio imprescindibile in uno stato di diritto. Nessun cittadino, inclusi i politici, dovrebbe essere considerato colpevole fino a sentenza definitiva. Tuttavia, la politica non può ridursi a un’attesa passiva degli esiti giudiziari. Chi ricopre ruoli istituzionali deve operare sotto una lente più severa, poiché il suo comportamento riflette l’immagine dell’intero apparato statale.
La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, e il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, hanno chiesto con forza le dimissioni della ministra, appellandosi a un principio di responsabilità etica. Il premier Giorgia Meloni, invece, si trova in una posizione ambigua. La sua decisione sarà cruciale per definire l’identità del suo governo: un esecutivo che difende i propri membri a oltranza o uno che si pone come esempio di rigore e trasparenza?
L’etica come forza politica
L’etica non dovrebbe essere percepita come una debolezza, ma come una forza politica. Nei sistemi democratici maturi, le dimissioni non rappresentano un’ammissione di colpa, bensì un atto di rispetto verso le istituzioni e i cittadini. Rinunciare temporaneamente a un incarico può servire a tutelare la credibilità dell’intero sistema, in attesa che la giustizia faccia il suo corso.
Paesi come la Germania o il Regno Unito offrono esempi di dimissioni per questioni che, in Italia, sarebbero considerate minori. Questo non significa che tali sistemi siano perfetti, ma sottolinea una cultura politica in cui la responsabilità personale viene posta al di sopra degli interessi individuali.
Il rischio dell’ambiguità
Non agire, per Meloni, significherebbe inviare un messaggio ambiguo. Da un lato, rischia di alienare quella parte dell’elettorato che spera in un governo all’insegna della discontinuità rispetto al passato. Dall’altro, rafforzerebbe la percezione che la classe politica protegga se stessa a prescindere dalle circostanze.
La leader di Fratelli d’Italia si è distinta in passato per la sua fermezza nel chiedere dimissioni agli avversari politici. Ora, il peso della coerenza ricade su di lei. Difendere Santanchè, di fronte a un quadro così grave, potrebbe calpestare l’immagine di un governo che ambisce a rappresentare una “nuova” destra italiana.
Verso un nuovo equilibrio
Il caso Santanchè è più di una vicenda giudiziaria, è un test sulla capacità dell’Italia di ridefinire il rapporto tra politica ed etica. Non si tratta di rinnegare il garantismo, ma di alzare l’asticella per chi rappresenta il Paese. La fiducia dei cittadini non si recupera con slogan, ma con gesti concreti.
Giorgia Meloni ha davanti a sé una scelta cruciale. Le dimissioni di Santanchè potrebbero essere interpretate non come un atto di debolezza, ma come un segnale di forza, un messaggio chiaro che il suo governo non teme di anteporre l’interesse collettivo alle convenienze politiche.
La domanda, dunque, non è solo “dov’è il confine tra etica e garantismo?”, ma se l’Italia è pronta a pretendere di più dai propri rappresentanti. La risposta, come sempre, dipenderà da chi detiene il potere e dal coraggio di agire nel momento decisivo.