Venerdì scorso, gli Stati Uniti hanno introdotto nuove sanzioni contro il settore petrolifero russo, definito dalla BBC come “le più severe degli ultimi anni”. L’obiettivo principale è ostacolare il funzionamento della cosiddetta ‘flotta ombra’, una rete di vecchie petroliere che trasportano petrolio russo attraverso società intermediarie per aggirare le restrizioni occidentali.
Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, i Paesi occidentali hanno imposto embarghi sulle forniture di petrolio russo, limitandone il prezzo. In risposta, Mosca ha implementato una soluzione parallela: petroliere datate, spesso non assicurate, navigano globalmente per mantenere attiva la vendita del greggio russo. Secondo il Centre of Research on Energy and Clean Air (CREA), a dicembre 2024 il 64% del petrolio russo via mare è stato movimentato da queste ‘shadow tankers’. Tuttavia, il rischio ecologico legato a queste navi è elevato: molte hanno oltre 20 anni e una manutenzione discutibile, rappresentando una minaccia per le coste europee e globali.
Un esempio recente è l’incidente del 15 dicembre 2024, quando due petroliere russe, la Volgoneft-212 e la Volgoneft-239, sono state coinvolte in gravi incidenti nello stretto di Kerch, nel Mar Nero. La Volgoneft-212, costruita nel 1969, si è spezzata in due durante una tempesta, causando una massiccia fuoriuscita di petrolio, mentre la Volgoneft-239, costruita nel 1973, è rimasta alla deriva. Entrambe operavano da oltre 50 anni, sollevando dubbi sulla loro conformità alle normative di sicurezza marittima. Questi episodi dimostrano come l’uso di navi obsolete aumenti il rischio di disastri ambientali, aggravando la vulnerabilità ecologica delle rotte marittime.
Il petrolio e il gas rappresentano una delle principali fonti di entrate per il bilancio russo. Nel 2024, i ricavi complessivi derivanti dai combustibili fossili sono stati pari a 652 milioni di euro al giorno a dicembre, con un incremento del 4% rispetto al mese precedente. La Cina si conferma il principale acquirente, con il 37% dei ricavi totali mensili (5,5 miliardi di euro), seguita da Turchia e India. L’UE, nonostante le sanzioni, ha contribuito al 17% dei ricavi, acquistando principalmente gas naturale liquefatto (GNL) e petrolio greggio tramite raffinerie intermediarie in India e Turchia.
Il nuovo pacchetto sanzionatorio degli Stati Uniti mira a colpire direttamente le infrastrutture chiave del settore energetico russo. Tra le aziende coinvolte figurano Surgutneftegas e Gazprom Neft, colpite per la prima volta da restrizioni dirette. Anche i principali operatori logistici, come Sovcomflot, e compagnie assicurative come Ingosstrakh sono stati inclusi nella lista nera. Inoltre, è stato imposto un divieto per le aziende americane di fornire servizi di estrazione petrolifera in Russia, una misura che entrerà in vigore dal 27 febbraio 2025.
Nonostante le sanzioni, una significativa lacuna normativa permette a Paesi come India e Turchia di importare greggio russo, raffinarlo e successivamente riesportarlo verso i mercati occidentali. Nel 2024, prodotti raffinati da greggio russo hanno generato 15,8 miliardi di euro, con l’UE che ne ha assorbito il 14%. Questa scappatoia ha fruttato al Cremlino circa 3,9 miliardi di euro in tasse, dimostrando la resilienza del sistema economico russo di fronte alle restrizioni.
Mentre il transito di gas russo attraverso l’Ucraina si è interrotto a dicembre 2024, i ricavi da gasdotto hanno registrato un aumento del 19%, raggiungendo i 104 milioni di euro al giorno. La Cina ha incrementato le importazioni del 45% rispetto a novembre, mentre l’UE rimane il principale acquirente di GNL russo, con Francia, Belgio e Spagna tra i maggiori importatori.
L’amministrazione statunitense prevede che le nuove sanzioni costeranno alla Russia miliardi di dollari al mese. Tuttavia, il CREA suggerisce che un tetto massimo di 30 dollari al barile, rispetto agli attuali 67,49 dollari, potrebbe ridurre i ricavi russi del 25%.
Un aspetto cruciale sarà l’efficacia delle misure di controllo. Ad esempio, il continuo utilizzo di ‘shadow tanker’ rappresenta un problema significativo. Queste petroliere ombra non solo permettono alla Russia di aggirare le sanzioni, ma creano gravi rischi ecologici. Con una manutenzione scarsa e una documentazione assicurativa incerta, un eventuale incidente potrebbe causare danni ambientali per miliardi di euro, gravando sui contribuenti dei Paesi costieri.
Un altro rischio è rappresentato dalla lacuna normativa sulla raffinazione. Se non verrà regolamentato in modo più stringente, consentirà a Paesi come India e Turchia di continuare a raffinare greggio russo, alimentando indirettamente l’economia del Cremlino. Questo fenomeno, insieme alla crescita delle esportazioni di GNL verso l’UE, indica che le sanzioni attuali lasciano ancora spazio a Mosca per adattarsi e ristrutturare le sue strategie commerciali.
Il CREA sottolinea inoltre che la riduzione del tetto massimo sul prezzo del petrolio potrebbe essere una leva decisiva. Un abbassamento a 30 dollari al barile comporterebbe una perdita significativa di circa 76 miliardi di euro per il Cremlino. Inoltre, un’applicazione più rigorosa delle sanzioni, con l’inserimento delle navi ‘shadow tanker’ nelle blacklist internazionali e il divieto di trasferimenti da nave a nave nelle aree marittime sotto la giurisdizione o l’influenza dei Paesi del G7 e delle nazioni loro alleate, potrebbe ridurre significativamente le opzioni logistiche a disposizione della Russia.
Per tirare le somme, il petrolio russo continua a essere una forza importante nei mercati internazionali, ma sanzioni più dure, un tetto di prezzo più basso e controlli più rigidi potrebbero ridurre di molto le entrate del Cremlino. Tuttavia, il successo di queste misure dipenderà dall’effettiva cooperazione internazionale e dalla capacità di chiudere le attuali falle normative.