Giovani bloccati nell’odio: l’omicidio di un 22enne sconvolge Treviso

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Un atto di brutale violenza a Treviso, generato da un’esplosione di odio incontrollato, è costato la vita a Francesco Favaretto, un ragazzo 22enne, morto dopo undici giorni di agonia in terapia intensiva. L’aggressione, avvenuta il 12 dicembre scorso nel cuore del centro storico di Treviso, ha visto protagonisti dieci giovani, tra cui sei minorenni, travolti da una spirale di violenza che appare sempre più diffusa.

Odio incontrollato: la tragica fine del 22enne di Treviso

Secondo le indagini della squadra mobile, alla base di questo atto efferato c’è una disputa legata al mondo della droga. Francesco sarebbe stato riconosciuto come fornitore dagli aggressori e avrebbe rifiutato di consegnare un carico di hashish. Il rifiuto ha scatenato un branco che, sotto l’effetto di sostanze psicotrope come ketamina, ha perso ogni controllo, lasciandosi guidare dall’odio e da un’escalation di rabbia cieca.

La vittima veniva inseguita lungo le vie del centro storico, bloccata in una piazzetta e brutalmente pestata. L’odio ha trovato espressione in atti violenti e gratuiti: pugni, calci, accoltellamenti e ferite profonde inflitte con cocci di bottiglia. Francesco lasciato in fin di vita e poi derubato, mentre i suoi aggressori cercavano di nascondere le tracce, gettando il cellulare del ragazzo nel fiume Sile.

Minori e atti di violenza inaudita

Questo episodio sconvolgente evidenzia una preoccupante deriva giovanile, in cui perfino minorenni sono capaci di atti di estrema crudeltà. Non si tratta solo di criminalità, ma di un fenomeno più complesso, segnato da un mix letale di rabbia repressa, disagio sociale e influenze distruttive.

Il questore Alessandra Simone, commentando la tragedia, ha parlato di un fenomeno allarmante: “L’odio e la violenza stanno inghiottendo fasce sempre più ampie di giovani. È necessario intervenire in rete, coinvolgendo famiglie, scuole e istituzioni per affrontare questa emergenza e salvare questi ragazzi da loro stessi.”

Questa tragedia solleva domande urgenti: cosa spinge giovani, perfino minorenni, a compiere gesti così estremi? E cosa si può fare per arginare una cultura dell’odio e della violenza che sembra ormai radicata?