Marco Magrin ha trovato la morte per il gelo in un garage di Treviso, perché sfrattato da casa e con uno stipendio che non gli permetteva altre soluzioni abitative.
Dietro la tragica fine di Marco Magrin, il 53enne deceduto in un garage di via Castagnole a Treviso, emerge un dettaglio sorprendente. L’appartamento da cui era stato allontanato risulta essere di proprietà di Andrea Berta, noto attivista del centro sociale trevigiano Cso Django e membro dell’associazione Caminantes, impegnata da settimane in proteste contro gli sfratti e l’emergenza abitativa in città.
Marco Magrin, Treviso: morire così nel 2024
La morte di Marco Magrin, trovato senza vita in un garage di Treviso, non è solo una storia di sfortuna o di marginalità. È una ferita aperta che ci obbliga a riflettere su come, nel 2024, sia ancora possibile perdersi tra gli ingranaggi di un sistema incapace di garantire un diritto fondamentale: la casa.
Marco aveva 53 anni e una vita segnata dalle difficoltà. Era stato sfrattato dall’appartamento ereditato da un attivista che, paradossalmente, si batte pubblicamente contro l’emergenza abitativa. Una contraddizione clamorosa che apre interrogativi dolorosi: come possiamo accettare che il peso delle crisi abitative cada sempre sui più deboli? Come si giustifica una società in cui un uomo muore nel freddo anonimato di un garage, invisibile agli occhi di tutti?
Riflessione su una tragedia evitabile
Ci raccontiamo che le leggi, i regolamenti e le proteste servano a qualcosa. Eppure, i fatti spesso mostrano il contrario. Marco non è solo la vittima di una casa chiusa a doppia mandata; è la vittima di un’intera società che, pur sapendo del problema, si limita a puntare il dito.
La vicenda di Marco è il simbolo di una disconnessione profonda. Da un lato, chi manifesta per la giustizia sociale sembra incapace di praticarla nel proprio privato. Dall’altro, chi critica queste ipocrisie non offre soluzioni reali, ma si limita a cavalcare il fallimento per denigrare gli avversari politici. In mezzo, ci sono le vite spezzate come quella di Marco, abbandonate nel limbo di una solidarietà gridata ma non agita.
Perché si muore così nel 2024? Perché, nonostante la modernità, il benessere e i progressi, mancano reti reali, forti, che sostengano chi cade. Si muore così perché il problema della casa non è percepito come una priorità assoluta. Si muore così perché è più semplice chiudere una porta che affrontare le complicazioni dell’aiutare davvero.
La morte di Marco è un monito. Ci obbliga a chiederci non solo chi sia responsabile, ma anche cosa ciascuno di noi stia facendo per impedire che tragedie come questa si ripetano. Non basta protestare, non basta indignarsi. Serve agire, subito, per costruire una società in cui nessuno debba scegliere tra il nulla e un garage.