Suicidarsi a vent’anni: giovani generazioni social

Parlare di salute mentale rappresenta ancora oggi un tabù

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Il male oscuro dei giorni nostri e delle giovani generazioni social rappresenta ancora oggi un tabù. Come tali, non vengono riconosciute tutte le malattie che riguardano la sfera psichica.

Se il tema poi, della salute mentale viene associato ai giovani, il discorso diventa ancora più vago e superficiale. Si piange il morto per un giorno o due, poi si aspetta il prossimo caso isolato. Nel frattempo i giovani continuano a morire di malattie mentali. Non perché siano deboli, insicuri, pigri, spaventati, fragili o sfaticati: muoiono perché sono malati.

Emergenza giovani

Le giovani generazioni social e salute mentale sono due temi bistrattati, ma rappresentano un’emergenza vera, tangibile. Un’emergenza che riguarda tutte e tutti e che rimarrà tale finché ognuno di noi non farà la propria parte, cambiando la narrazione che facciamo dei giovani e delle malattie mentali.
I numeri della malattia mentale sono ormai sempre più simili a bollettini di guerra in costante crescita.
Le diagnosi di disturbi psichici ed i sintomi depressivi nella popolazione sono quintuplicati anche in Italia. Coinvolgono 1 persona su 3. Fotografia di una realtà allarmante.

La maggior parte delle 800.000 persone che muoiono ogni anno per suicidio sono giovani. La prevalenza dei disturbi mentali, sta per superare quella delle patologie cardiovascolari. Dato preoccupante, quello emerso sulla Generazione Z.

Un disagio generazionale

L’11% dei ragazzi assume psicofarmaci senza prescrizione medica. La letteratura scientifica dice che più del 50% delle patologie mentali insorge prima dei 25 anni. Per questa ragione parlare di disagio e di disagio giovanile è praticamente la stessa cosa. Non bisogna quindi stupirsi che nel nostro Paese che oltre 220 mila giovani, sono insoddisfatti della propria vita e vivono una condizione di cattiva salute mentale.

I ragazzi di età compresa tra 15 e 24 anni assumano psicofarmaci senza una prescrizione medica. Tramite canali alternativi a disposizione: lo fanno per dormire, per dimagrire, per essere più performanti negli studi (una sfida che preoccupa e inquieta molti giovani). Se stringiamo l’attenzione sugli studenti, la percentuale di quanti cercano un “aiutino” negli psicofarmaci sta arrivando al 20% del totale.

Giovani e social

Parliamo di una generazione che rifiuta lo stigma sociale e su Tik Tok pubblica voti e classifiche sulla “efficacia” dei medicinali, che non ha remore a parlare del proprio disagio psicologico davanti a milioni di estranei spesso con gravi conseguenze.
Sui social il malessere, i problemi e il dolore, malattie fisiche o mentali, vengono contemplati solo se spettacolari.

Solo se è esibito e ben confezionato, dove la sofferenza è un contenuto e i contenuti devono essere appetibili viene ascoltato. Il dolore sussurrato annoia.

La prima regola, sui social è che non basta soffrire, bisogna saper soffrire bene, altrimenti è tutta fatica sprecata.

Secondo una ricerca realizzata dialogando con 40 Organizzazioni Non Profit si conferma il fatto che il problema, osservato dal punto di vista di chi lo combatte sul campo, è e resta molto serio.

Il Servizio Pubblico, capace in questi ultimi anni di notevoli passi avanti nell’intercettare gusti, tendenze, curiosità dell’universo giovanile ma evidentemente non è ancora abbastanza, per un tema che non può essere risolto al di fuori delle dinamiche di prevenzione, assistenza e cura offerte dallo Stato. Si dovrebbe cercare di capire qual è il bisogno primario per arginare il disagio psicologico crescente, come politiche adeguate di supporto sociale, fondi adeguati, maggiore attenzione istituzionale sul tema e l’aiuto dei media, per continuare a tenere alta la guardia sull’argomento, ampliare l’offerta informativa sui disturbi alimentari, contrastare bullismo e cyberbullismo.