La morte di Yahya Sinwar: non illudiamoci. Un’opinione.

Yahya Sinwar aveva avvisato. Aveva detto ai suoi seguaci, il suo popolo: “Non voglio morire di COVID, non voglio morire di infarto, voglio morire combattendo”. Questo è il suo lascito, cioè il lascito della sua cultura: non importa vivere, importa morire per la causa. Il concetto di “vincere o morire” non è estraneo alla storia europea e non è sempre proprietà esclusiva di alcuni ristretti gruppi intellettuali: ha avuto e tuttora conserva una presa su ampi settori popolari in alcuni luoghi del mondo. Quando viene applicato, il concetto di “vincere o morire” non lascia spazio per soluzioni intermedie: o è omicida o è suicida. La fotografia che Sinwar si fece scattare, elegante e sorridente su una poltrona tra le macerie di Gaza, in questo senso è esemplificativa, come se la mente dei pogrom del 7 ottobre 2023 volesse dirci: “questo è il terreno su cui ottimamente mi trovo: le bombe, il sangue, la distruzione”.

Per il pensiero moderno occidentale la guerra è invece la peggior schifezza del mondo, un orrore che va evitato a tutti i costi attraverso una mediazione, un dialogo, una trattativa che porti a quella pace che è sempre da ricercare instancabilmente. Per quanto onorevole e civile questo pensiero possa essere, chi lo esercita deve tenere conto che questo non è il pensiero comune a tutti gli uomini, o a tutte le società. Non tenerne conto rischia di creare miraggi; a voler vedere uno spiraglio per la pace anche dove lo spiraglio non c’è: e allora la morte di Sinwar porterà alla trattativa, e allora i colpi subiti da Hezbollah porteranno alla trattativa, e allora si immaginano nuovi leader maggiormente dialoganti che sostituiranno i precedenti, eccetera… non è così, l’avversario non pensa come pensiamo noi.

 

Se, nelle immagini della morte di Sinwar, noi non vediamo che dolore, orrore e tenebre, altri vedono la luce splendente di un martire, di un eroe da imitare e vendicare. In questi giorni sono comparse sul web foto di ragazzini palestinesi di 10/12 anni, che sorridono seduti in poltrone polverose tra le macerie di Gaza, a simboleggiare gli eredi di Sinwar, i “nuovi Sinwar” di domani. Se mai Hamas ed Hezbollah giungeranno a una trattativa questo avverrà solo e soltanto nel momento della disperazione della sconfitta. Quella disperazione non è per ora arrivata; dunque, non ci si illuda: la guerra d’Israele sarà ancora lunga.

 

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