Interporsi per finta: i caschi blu dell’Onu

Srebrenica, Bosnia, luglio 1995. A Srebrenica si sono rifugiati migliaia di profughi bosniaci, i quali si mettono sotto la protezione della locale base dell’ONU dove sono di stanza  600 caschi blu olandesi. Le milizie serbe del generale Mladic giungono alla base ONU è chiedono agli olandesi di consegnargli tutti i profughi che sono all’interno della struttura. I caschi blu olandesi li consegnano a Mladic ben sapendo che verranno tutti uccisi. 8.000 bosniaci verranno poi assassinati a Srebrenica. Una pagina nera nella storia degli interventi ONU a “protezione della pace e dei civili”.

Nel testo della risoluzione 1701, con cui l’ONU ha tentato di mettere fine alle attività ostili delle milizie libanesi presso il confine con Israele, alla forza dei caschi blu (UNIFIL) schierati presso tale confine veniva – tra le altre cose – data la seguente disposizione: “Paragrafo 12. …(l’ONU) autorizza l’UNIFIL a intraprendere tutte le azioni necessarie, nelle aree in cui sono presenti e nelle loro capacità, ad assicurare che questa aree non siano utilizzate per azioni ostili di nessun tipo…”. Questa indicazione dell’ONU non è mai stata rispettata. Le telecamere ci regalano oggi le immagini di imbocchi di tunnel di Hezbollah a poche centinaia di metri dalle torri di osservazione delle basi ONU. In questi 18 anni le milizie Hezbollah hanno traforato l’intera “area in cui sono presenti le forze UNIFIL”, costruendo piattaforme di lancio, trasportando missili e ogni tipo di esplosivo, edificando basi e una rete di vie sotterranee che giungevano a pochi metri dal confine Israeliano. Le immagini e i filmati che ci arrivano da molte fonti diverse ci dicono che Hezbollah ha trasformato “le aree in cui sono presenti le forze UNIFIL” in una grande, letale e organizzatissima area ostile; preparata dai suoi miliziani per un’invasione da terra dello Stato ebraico.

La pagina nera dei Caschi Blu a Srebrenica, che abbiamo citato brevemente all’inizio dell’articolo, avrebbe dovuto essere di lezione alle pretese di chi pensa di poter usare i Caschi Blu dell’ONU come una sorta di Polizia del Mondo. Se si decide di interporsi tra una o più parti irriducibilmente in lotta – soprattutto quando ci sono di mezzo attori non statali – si decide anche che un’opzione probabile sia la guerra. I Paesi che forniscono le truppe per l’ONU devono essere disposti al fatto che i loro uomini vadano a uccidere ed a morire in posti lontani nel mondo, dei quali molti dei propri cittadini non saprebbero indicare neppure la posizione sulla carta geografica, e che possono non essere una priorità per la propria sicurezza nazionale. Non solo: se i caschi blu venissero attaccati i Paesi dell’ONU dovrebbero essere disponibili a inviare nuove truppe, aerei, carri armati… uno scenario di questo tipo è da ascriversi più al mondo delle utopie che a quello della realtà. Ma c’è di più: se i caschi blu garanti della sicurezza dei profughi (come a Srebrenica) o della pace (come in Libano) non sono in grado di assolvere il loro compito, possono diventare fonte di ulteriori disastri. Oggi, al confine con il Libano, la presenza UNIFIL non è solo inutile (e fonte di rischio altrettanto inutile per gli uomini che ne fanno parte), ma anche fonte di conflitti diplomatici che nulla hanno a che fare con alcunché di pratico ma soltanto con l’orgoglio nazionale ferito dei Paesi a capo di questa, ora più che mai incomprensibile, missione per il controllo di un territorio che  sotto il controllo dell’ONU non è stato mai.

Una notazione. Se un domani, per frenare le tensioni tra Egitto e Israele sul confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto stesso (il “Corridoio Filadelfia”), qualcuno dovesse mai proporre allo Stato ebraico “l’interposizione dei caschi blu dell’ONU” – o soluzioni multinazionali simili – non ci si stupisca se da Israele dovesse arrivare un colossale rifiuto.

@riproduzione riservata