Il voto in Bosnia-Erzegovina quest’anno è segnato da circostanze straordinarie. Oltre alle storiche divisioni etniche e politiche, una catastrofe naturale ha travolto il Paese: devastanti alluvioni hanno costretto al rinvio delle elezioni in diverse aree gravemente colpite, complicando ulteriormente un quadro già delicato.
Le urne si sono aperte il 6 ottobre, ma non ovunque. A Jablanica, Konjic, Kiseljak, Kresevo e in parte di Fojnica, il voto è stato posticipato a causa dell’emergenza in corso. In queste zone, il bilancio delle alluvioni è drammatico: 18 vittime, 15 delle quali a Jablanica, e danni enormi a infrastrutture pubbliche e private. Frane, smottamenti e torrenti straripati hanno isolato interi villaggi, distrutto strade e ponti e lasciato decine di migliaia di persone senza accesso ai servizi essenziali.
Nonostante le difficoltà, il processo elettorale è andato avanti nelle zone non colpite dalle alluvioni, anche se le divisioni etniche e politiche rimangono marcate. Il monitoraggio è stato affidato a una missione congiunta dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), dell’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani (ODIHR), del Consiglio d’Europa e del Parlamento Europeo, con 240 osservatori sul campo. Questi hanno lodato la gestione professionale delle elezioni, nonostante le sfide legate all’attuazione delle nuove riforme elettorali in tempi ristretti. Corien Jonker, a capo della missione ODIHR, ha evidenziato l’importanza delle riforme per aumentare la fiducia dei cittadini, pur ammettendo che “resta ancora molto lavoro da fare per renderle completamente efficaci”. La Commissione elettorale centrale ha segnalato un’affluenza del 34,98% alle 15:00, in linea con i precedenti cicli elettorali.
Il contesto politico rimane complesso. La Bosnia-Erzegovina è divisa in due entità principali, la Federazione croato-musulmana e la Republika Srpska, oltre al distretto di Brčko. Oltre 140 sindaci e circa 3.000 consiglieri sono stati eletti, con particolare attenzione alle grandi città come Sarajevo, Mostar, Tuzla e Banja Luka. Tuttavia, il persistente utilizzo di retoriche etniche da parte dei partiti politici continua a frammentare il Paese, ostacolando la costruzione di una vera unità nazionale.
Un aspetto particolarmente significativo di queste elezioni è l’introduzione di nuove regole che impediscono ai criminali di guerra di candidarsi. A Velika Kladuša, per la prima volta, un politico condannato per crimini di guerra, Fikret Abdić, non ha potuto partecipare. Abdić, sindaco dal 2016, era stato condannato nel 2002 per crimini commessi durante il conflitto bosniaco. La sua esclusione è il risultato di una modifica alla legge elettorale approvata lo scorso marzo dall’Alto rappresentante Christian Schmidt, che vieta ai condannati per genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di guerra di ricoprire cariche pubbliche.
Vehid Šehić, ex membro della Commissione elettorale, ha dichiarato a Radio Slobodna Evropa che, per anni, i partiti politici bosniaci avevano considerato i criminali di guerra come “eroi”, bloccando ogni tentativo di riforma fino all’intervento decisivo di Schmidt. Questo cambiamento rappresenta un passo importante verso una maggiore giustizia e trasparenza in Bosnia-Erzegovina.
Le elezioni del 2024 non sono solo un test per la stabilità interna del Paese, ma un banco di prova per l’intera regione balcanica. Pur riconoscendo i progressi compiuti, gli osservatori internazionali sottolineano che il cammino verso una democrazia inclusiva e il superamento delle divisioni etniche è ancora lungo.
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