L’Uefa ha tolto ieri a Milano l’organizzazione e la gestione della finale di Champions League del 2027. «Poiché il Comune di Milano – ha scritto la Uefa nel motivare la sua decisione – non poteva garantire che lo stadio San Siro e le aree circostanti non sarebbero stati interessati da lavori nel periodo della finale Champions 2027, si è deciso di non assegnare la finale a Milano e di riaprire il processo di candidatura per nominare una sede adeguata, con decisione attesa per maggio/giugno 2025».
Le colpe di Beppe Sala
La decisione era nell’aria ma il fatto che fosse attesa e prevista non toglie nulla alla brutta figura della città, e dell’Italia intera. Ma è soprattutto il capoluogo lombardo ad uscirne con le ossa rotte, primo tra tutti il suo sindaco, Beppe Sala, che sulla gestione del vecchio e nuovo stadio di Milano non è di sicuro esente da colpe. Certo, il vincolo della sovrintendenza che ha messo il divieto all’abbattimento del glorioso (ma superato) stadio di Inter e Milan non è colpa sua ed arriva direttamente da Roma, ma il sindaco soprattutto in una fase iniziale ha dovuto cedere alle pressioni di pezzi della sua maggioranza (verdi ed una buona fetta della sinistra) e di alcuni Comitati di Quartiere (numericamente scarsi ma politicamente e mediaticamente molto pesanti) contrari al trovarsi davanti ad un fastidioso cantiere per alcuni anni. Da quello è partito un tira e molla con la due squadre di calcio milanesi fatto di un passo avanti e tre indietro che da ormai 7 anni si sussegue senza alcuna prospettiva di conclusione.
Milano perde la faccia
Sala da sempre, dai tempi di Expo ben prima quindi del suo approdo a Palazzo Marino, ha fatto dell’essere Internazionale una delle sue ragioni di vita. La Milano aperta al mondo, dei grandi alberghi, della Design Week e della Milano Fashion Week. La Milano sempre più a misura di turisti (ricchi, molto ricchi) e sempre meno di studenti (con pochi soldi nelle tasche) e milanesi doc. La Milano che luccica, con il Bosco Verticale ed i negozi del Quadrilatero della Moda. Una Milano che però ha uno stadio utilizzato da due squadre prestigiose, ben lontano da qualsiasi criterio europeo o mondiale.
Una struttura con dei servizi igienici imbarazzanti, senza zone per la ristorazione degne di tale nome, con dei gradini scomodi, sedute rigide etc etc. Un luogo dove, finita la partita od il concerto, non ha nulla di altro da offrirti e che quindi resta per 280 giorni abbandonato a se stesso. Oggi Milano perde non solo una partita ma una giornata di visibilità globale (perché la finale di Champions League è un faro mondiale) e soprattutto la faccia.
Milano, città simbolo del fare…
Milano da sempre è la città simbolo del «fare». «Se sta mai cui man in man…» recita la canzone popolare più famosa ed amata dai Meneghini (Oh mia bela Madunina). Ecco. Milano da anni non è riuscita a fare il suo stadio nuovo, per la pigrizia di alcuni, la comodità di altri, il finto ambientalismo di pochi e la debolezza di un sindaco che rischia di portarsi dietro il marchio di questa brutta figura.
@riproduzione riservata