È di ieri notte un video diventato virale sui social media, inclusi quello di Iran International e su Ensaf News, che mostra l’orrore raggiungere nuove vette in Iran. Due ragazzine di 14 anni sono state picchiate e arrestate per non aver indossato il velo. Costrette a salire sul furgone della polizia morale, una delle adolescenti, Nafas H., è stata trascinata di peso da agenti donne.
Mentre l’attenzione globale è rivolta alle tensioni geopolitiche tra Iran e Israele, una realtà cupa e inquietante continua a consumarsi nelle strade di Teheran. La polizia morale iraniana, tristemente nota per la sua brutalità, terrorizza le donne che osano sfidare il regime. Ancora più sconcertante è la complicità di alcune agenti donne della stessa polizia morale, che partecipano attivamente a questa oppressione: anziché allearsi nella lotta per l’uguaglianza, si trasformano in aguzzine. La madre di Nafas H. ora vuole denunciare le autorità. Sua figlia è rimasta ferita durante l’arresto e ha dovuto essere ricoverata in ospedale. “È ancora una bambina, questa è brutalità”, ha detto la madre al portale Tejarat News.
L’episodio, che in realtà risale a circa un mese fa, ma è stato reso pubblico solo ieri, riporta alla mente quanto avvenuto due anni fa a Mahsa Amini, la studentessa curdo-iraniana oggetto dello stesso tipo di azione da parte della polizia, poi morta forse a seguito di gravi percosse in un ospedale gestito dal centro di detenzione di Vozara. Il destino di Mahsa fu la miccia di una massiccia protesta in tutto il Paese, che causò oltre 600 vittime e 20.000 arresti.
Dallo scorso aprile, i casi di donne fermate, minacciate e punite per non indossare correttamente l’hijab si sono moltiplicati. Le immagini e i video che emergono dai social media raccontano storie di violenza e paura. Un’altra ragazza costretta a salire su un furgone della polizia implora: “Ho un esame domani”. Ma le sue suppliche cadono nel vuoto. La risposta del capo della polizia Abasali Mohammadian è stata inequivocabile: “Misure severe contro chi non rispetta il codice di abbigliamento islamico”.
Il 20 giugno, un ulteriore episodio scioccante: una donna è stata arrestata con violenza per aver indossato l’hijab in modo “improprio”. In un video, diffuso dalla giornalista e attivista politica Masih Alinejad, vengono mostrati agenti – tra cui donne – spingere brutalmente la vittima in un furgone. Nel post su X, Alinejad denuncia: “Oggi a Teheran, mentre gli occhi del mondo sono puntati sulle elezioni iraniane, si sta svolgendo una storia più nera. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte a questo regime di apartheid di genere”.
Nella Repubblica islamica iraniana, il velo è obbligatorio per tutte le donne a partire dai 7 anni. La violenza delle autorità contro chi trasgredisce è un problema persistente, recentemente tornato alla ribalta grazie all’opposizione politica. Asar Mansuri, leader del partito riformista Ettehad Mellat, ha scritto sui social: “Quanto tempo ci vorrà per capire che questa politica del codice di abbigliamento islamico ha fallito?”. Il nuovo presidente riformista, Massoud Pezeshkian, che aveva promesso di fermare i controlli della polizia morale durante la campagna elettorale, è ora sotto pressione per mantenere le sue promesse.
Secondo un rapporto di Amnesty International, la situazione delle donne in Iran è più drammatica che mai. L’organizzazione ha stimato che solo nell’ultimo anno, oltre 4.000 donne sono state arrestate per non aver rispettato le rigide leggi sull’abbigliamento. Di queste, centinaia hanno subito violenze fisiche durante gli arresti e la detenzione. L’ONG denuncia un sistema di oppressione che utilizza il corpo delle donne come campo di battaglia politico e culturale, infliggendo punizioni draconiane a chiunque osi sfidare le norme del regime.
È inoltre essenziale mettere in luce il ruolo delle agenti della polizia morale. Queste donne, che dovrebbero comprendere meglio di chiunque altro la sofferenza causata da tali politiche, sono invece complici attive della repressione. La loro partecipazione non solo rafforza il regime, ma perpetua una cultura di sottomissione e violenza contro altre donne.
Se il fenomeno sembra essere distante, in realtà non è circoscritto all’Iran ma si manifesta anche in altre parti del mondo, compresa l’Italia. Il 30 giugno, un episodio avvenuto su un treno regionale diretto a Milano ha profondamente scosso i passeggeri, rivelando tensioni latenti nella nostra società. Una donna di San Mauro Torinese di origini brasiliane è stata oggetto di un feroce attacco verbale da parte di un’altra che indossava l’hijab. Questo evento, riportato dal giornale La Voce del Canavese, evidenzia come l’intolleranza possa attraversare le barriere culturali e religiose, dimostrando che l’odio può manifestarsi in molteplici forme.
È tempo che la comunità internazionale e i cittadini del mondo riconoscano la gravità di questa situazione, che sembra non avere più confini. Le donne iraniane non devono essere lasciate sole in questa lotta per i diritti umani fondamentali. Ogni arresto e ogni atto di violenza devono essere denunciati e condannati con fermezza. La solidarietà globale è l’unica arma per combattere questo regime di apartheid di genere. Non possiamo permettere che il silenzio avvolga queste storie di oppressione. La complicità di alcune nell’oppressione delle proprie simili deve essere esposta e condannata. Solo così possiamo sperare in un futuro in cui tutte le donne, ovunque nel mondo, possano vivere libere dalla paura e dall’oppressione.
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