Nel suo ultimo libro Giovanni Brussato analizza la situazione del Dragone in campo di transizione energetica e l’importanza dell’industria dei metalli.
(Recensione di Patrizia Feletig)
Si scrive transizione energetica ma si legge transizione basata sui metalli. I metalli necessari alla costruzione di tecnologie a basse emissioni di carbonio. È il lato oscuro delle tecnologie verdi (ma anche l’elemento fondamentale delle tecnologie digitali), ad essere intrinsecamente legate a metalli “sporchi”. Un’economia globale a zero emissioni, se si concretizzerà, non sarà solo neutrale dal punto di vista delle emissioni di carbonio, consumerà anche molte meno materie prime. Per arrivarci però, ci vorranno un bel po’ di materie prime critiche. Un esempio? Un veicolo con motore a combustione ne richiede 50 kg, un veicolo elettrico quattro volte di più. Un impianto eolico offshore richiede una quantità di risorse minerarie 13 volte superiore a quella di un impianto a gas della stessa capacità.
Nei prossimi decenni, le catene di approvvigionamento minerario determineranno nuove fortune. Se è indubbio che l’abbondanza di giacimenti di combustibili fossili ha arricchito nazioni come Arabia Saudita, UAE, Stati Uniti o Norvegia, per citarne solo alcune – meno note sono le riserve di petrolio in Guyana dove le recenti prospezioni indicano che nel 2028 lo stato sudamericano sarà in grado di produrre giornalmente 1,2 milioni di barili ovvero 1,1% del volume mondiale di greggio; in prospettiva una ricchezza più duratura può essere guadagnata esportando miliardi di tonnellate di metalli e terre raredi cui il mondo ha estremamente bisogno per costruire tecnologie a basse emissioni di carbonio. I metalli della transizione si trovano nei pannelli fotovoltaici, turbine eoliche, batterie per la mobilità elettrica e per la conservazione dell’energia, nei magneti degli alternatori e negli elettrolizzatori per la produzione di idrogeno, e sono indispensabili anche per le tecnologie di informazione e comunicazione. Si ridisegna la cartina mondiale della geopolitica del mondo dell’energia trasformando alcuni Paesi più piccoli e storicamente sottosviluppati in superpotenze delle materie prime della transizione green. Cile e Perù forniscono già la maggior parte del rame. Tale è la fame del primo metallo storicamente lavorato dall’uomo, che un’industria mineraria canadese è pronta a investire 7 miliardi di dollari in un mega-progetto persino in una zona instabile come la frontiera tra Pakistan e Iran. Il Congo si afferma come principale produttore di cobalto che non si trova allo stato puro ma è un sottoprodotto dell’estrazione di rame o nichel. Caratteristica che ha consentito all’Indonesia produttore di metà del nichel mondiale, altra materia prima essenziale per le batterie delle auto elettriche, di diventare anche uno dei principali fornitori di cobalto. Facendo leva su questa supremazia, il governo di Jakarta ha vietato l’esportazione di qualsiasi materia prima. Quando l’Unione Europea ha impugnato presso il WTO l’applicazione di queste misure protezionistiche, si è sentita controbattere dal ministro degli investimenti indonesiano che il loro bando all’esportazione non è che una moderna replica delle misure economiche utilizzate in passato dalle economie occidentali per consolidare il loro sviluppo industriale: dal divieto di esportazioni di lana grezza per stimolare l’industria tessile britannica ai dazi sulle importazioni per rafforzare la produzione interna degli Stati Uniti nel XIX° e XX° secolo.
@riproduzione riservata