Come nella tradizione ebraica, anche le feste più significative del calendario civile sono giorni dedicati alla riflessione di come il presente ci lega al passato, e di come la vita – anche quotidiana – che scegliamo di affermare è coerente e costruttrice di un futuro. Non sono semplici giorni di spensierata vacanza e gioia, cu si abbinano ricette o parate colorate, ma affermano tutte le libertà (ri)conquistate, sistema di relazioni con altri popoli e minoranze, convivenza e valenza di principi irrinunciabili.
È un 2 giugno a cui arriviamo quest’anno sfiniti e logorati, preoccupati e addolorati e con pieno senso di consapevolezza che la “Festa” nel senso accennato non è solo teoria e retorica, è vita di ciascuno di noi giorno per giorno e la prova che qualsiasi presidio democratico è messo in discussione.
Percorrendo gli articoli della nostra Costituzione repubblicana comprendiamo bene come dietro a ciascuno di essi ci sia l’intenzione di recuperare qualcosa del passato, che era stato sottratto al popolo, e di garantire per la prosecuzione e, forse oggi dobbiamo aggiungere, per la sopravvivenza, del sistema voluto all’indomani della Seconda guerra mondiale.
I mesi che stiamo vivendo impongono anche un appello a capire che quanto sta avvenendo oggi in Medio Oriente riguarda direttamente l’affermazione dei valori e il modello di convivenza e pluralismo impressi all’Italia e poi alla costruzione dell’Europa. Spazi nazionali uniti da un disegno europeo che sono anche di libertà religiosa di persone con fedi diverse chiamate a riconoscersi nel quadro dei principi costituzionali, delle carte e trattati europei. Fedi che sono spazi dell’anima e delle comunità che sostengono accoglienza e integrazione rivolta ai laici, a cittadini e fedeli di altri paesi, che non devono in alcun modo essere abusate né usate come strumenti di prevaricazione, violenze e terrore, importati dal Medioriente o generati dall’estremismo che rigenera le sue ben note e avvelenate radici. Libertà affermate e oggi abusate riguardo alla stampa, alle manifestazioni e raduni, alle associazioni divenute spazi nei quali si incita all’odio con proclami di annientamento e menzogne asimmetriche – tutto vero e tutto falso in funzione di ideologie portatrici di nuovi germi di antisemitismo e radicalizzazione.
Un sistema di garanzie costituzionali, poteri e istituzioni che viviamo come scontati e che oggi siamo chiamati a preservare. Siamo affezionati alle istituzioni repubblicane, a quanto maturato da quel 2 giugno del ’46, e diamo talmente per scontato il sistema, che qualcuno pensa di poterlo esportare o regalare con appelli e votazioni interne al proprio gruppo per farlo nascere magicamente altrove, nel deserto della cultura democratica e del pluralismo. Non c’è dubbio che ogni popolo ha diritto e dignità ad avere uno spazio che diventi giurisdizione autonoma, è il fare governare questi spazi da leader che desiderano pace, libertà e convivenza, che non diventino negazione degli altri spazi già affermati, che non usino i propri cittadini come scudi umani e le istituzioni di base – scuole, ospedali o centri abitati – come rifugi per terroristi ed arsenali, che non siano l’inviato speciale o il duplicato di altri Stati che nulla hanno di democratico e che invocano la distruzione della civiltà occidentale e altre fedi antiche.
Si dovrebbe riconoscere uno Stato – nell’assetto che ha ispirato il nostro 2 giugno – quando già esiste uno sforzo – non solo quando lo si sogna da lontano. Se come recita l’art. 3 tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza alcuna distinzione, oggi il compito della Repubblica non è solo quello di rimuovere gli ostacoli che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, ma è proprio quello di assicurare ancora che ci sia libertà di partecipazione e di fede contro ogni forma di persecuzione e violenza, investendo più che mai sul pieno sviluppo della persona umana a partire dalla scuola e dai luoghi di aggregazione dei giovani.
È un 2 giugno che impone una riflessione alla responsabilità di ogni organo di governo a ogni livello, di ogni scuola e luogo di aggregazione sociale, non solo riflessione, ma di appello alla concreta responsabilità delle istituzioni a livello centrale, comunale e periferico, a livello governativo e di ciascun apparato e luogo di studi, ricerca, cultura, commercio e convivenza sociale. Ai sindaci che oltre al tricolore decidono di esporre un’altra bandiera solitaria, invio un appello a ricordare che la pace e la libertà (quella che abbiamo lasciato alle spalle il 25 aprile scorso) inizia dove finisce il terrore e la guerra, con il riconoscimento del massacro e dell’altrui diritto ad esistere. Ai rettori delle università italiane, l’appello a salvaguardare il valore e la libertà della cultura e della ricerca anch’essa posta durante i bui anni delle persecuzioni al servizio dell’orrore umano. Che sia un 2 giugno di studio e non di slogan, di condanna e boicottaggi, di appello a non gridare ma a dialogare, a studiare e scegliere quanto affermare. A conoscere e visitare prima di condannare. È un giorno anche per esprimere il nostro grazie al Presidente Mattarella e a chi si adopera ogni giorno per salvaguardare la sicurezza e operare per la convivenza, nel dialogo e nel confronto lucido e responsabile.
È un appello all’Italia che ha fondato e che partecipa a organizzazioni e tribunali internazionali affinché in queste torni a prevalere la verità e non la distorsione, la missione per le quali sono nate, nelle quali il diritto umanitario è diritto e non il rovescio di una medaglia al terrore.
Il 2 giugno è da sempre profondamente identitario per le nostre comunità, presenti da secoli nelle città italiane, che hanno vissuto e contribuito in ogni fase ad affermare saperi e contribuito allo sviluppo – quando non soffocati da pregiudizi, inquisizione e fascismo – che hanno contribuito alla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo e alla scrittura della Carta costituzionale.
Nessun terrorista, nessun radicalizzato religioso, nessun estremista di centro sociale e nostalgico fascista, nessun sindaco e rettore balbettante, nessun parlamentare o giornalista delirante, nessun arruffapopoli che abusa della Costituzione stessa ci toglierà l’orgoglio di essere parte di questo Paese e di questa Repubblica: loro malgrado continueremo a vivere nelle nostre comunità e nei luoghi pubblici promuovendo cultura, tolleranza, vita repubblicana o più semplicemente vita.
Noemi Di Segni
Presidente Ucei