La notizia del suicidio per impiccamento del trapper Jordan Jeffrey Baby riapre il dibattito sulle condizioni delle carceri italiane. Quello del trapper, infatti,è il terzo suicidio accaduto nel giro di pochissime ore: solo ieri si è registrata la morte di un trentatreenne nel carcere di Secondigliano e Il trapper è stato il primo di questa tragica giornata che ha visto la morte per suicidio anche di un ragazzo di venti anni, che si è tolto la vita nel giorno del suo compleanno.
Il totale dei suicidi nelle carceri italiane nel 2024 è di 23, “uno ogni 3 giorni”, lo sottolinea una nota di Antigone, associazione “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”, che aggiunge “Tre detenuti che si suicidano in un giorno segnano il fallimento delle istituzioni”. Per l’Associazione le condizioni di sovraffollamento degli istituti penitenziari è la maggiore delle cause. Non è dello stesso avviso il Garante Nazionale per i diritti delle persone private della libertà che in un approfondito ed esauriente report, in cui sono stati presi in considerazione i dati del decennio 2012-2022, ha rinvenuto che “La riqualificazione materiale delle strutture “non è la causa principale dei suicidi in carcere”, molto più rilevante è invece la comune derivazione, da parte di chi ha compiuto questi atti estremi, da precedenti “eventi critici” molto spesso con un passato di disturbi comportamentali già segnalati, che tendono ad amplificarsi nelle condizioni, sicuramente non confortevoli, di un istituto.
È questo il caso anche di Jordan Jeffey baby all’anagrafe, Jordan Tinti, che aveva recentemente confidato al suo avvocato di aver già provato in precedenza a togliersi la vita. Un’esistenza, la sua, vissuta sempre sul bilico di creste molto pericolose. Il trapper, infatti, aveva già avuto precedenti con la giustizia per aver minacciato di morte l’inviato di striscia la Notizia Vittori Brumotti, impegnato in un servizio contro lo spaccio di droga alla stazione di Monza, e di aver incitato i suoi follower ad usare l’acido anche contro la sua fidanzata. La pena di quattro anni che stava scontando era per rapina aggravata dall’odio razziale per aver assalito un quarantaquattrenne nigeriano insultandolo con frasi razziste. Questo quadro stride con la lettera, oggi pubblicata da Fabrizio Corona, lasciata da Tinti alla madre nella quale le chiede perdono per tutto il dolore causatole.
È uno stridio, questo, che deve portare ad una riflessione profonda delle condizioni delle carceri italiane che sono bel lontane dall’essere un luogo, come auspicato dalla corte d’Europa, che dovrebbe essere “più vicino possibile alle condizioni esterne” agli istituti, ma che, è bene ricordare, sono state giudicate sufficienti e migliorate in concomitanza all’efficacia della risposta data dall’Italia alla sentenza Torreggiani (nell’ambito della quale la Corte aveva imposto all’Italia di mettere in regola il sistema penitenziario e soddisfatta dalle misure messe in atto dal governo italiano ha chiuso la procedura nel 2016).
Si può essere indubbiamente concordi nell’addolorarsi della morte di due ragazzi nemmeno trentenni all’interno di strutture statali che, in ogni caso dovrebbero assicurarsi delle condizioni dei propri detenuti, ma si deve essere consci ed obiettivi nell’ammettere che ogni singolo individuo, autodeterminandosi tramite le proprie consapevoli azioni, non può esimersi dalle conseguenze dei propri comportamenti.
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