Gli europei, la Nato, e le spese per la difesa

Da oltreoceano ci arriva ormai da decenni una richiesta di aiuto: gli Stati Uniti non ce la fanno più a coprire le spese militari ritenute necessarie a difendere “il mondo basato sulle regole” creatosi dopo la Seconda Guerra Mondiale e l’Europa deve impegnarsi maggiormente. La richiesta di aumentare la quota di spese militari nei bilanci nazionali è stata fatta all’Europa sia da Amministrazioni Democratiche che da Amministrazioni Repubblicane. Nel corso degli anni, a seconda di quale Presidente americano presentasse la richiesta, lo stile della perorazione ha assunto toni diversi, che variano dal sommesso, al non troppo ironico “free riders” di Obama, per giungere ora allo sguaiato: “Delinquent!” dell’ex-Presidente Donald Trump. Ma la sostanza della richiesta rimane ed è una sostanza del tutto pragmatica. Il mondo è cambiato, gli Stati Uniti non hanno più la percentuale mondiale di Prodotto Interno Lordo che detenevano nel 1970, gli scambi commerciali non sono più di pertinenza quasi esclusiva di Europa e Nord-America come in quell’epoca, la Cina non è più il Paese poverissimo del Presidente Mao, l’integrazione della Russia nell’alveo dei Paesi democratici è fallita, il Medio-Oriente è tutt’altro che pacificato, la sfida rivoluzionaria dell’IRAN non si è ammorbidita. In sintesi: negli ultimi 50 anni i fronti di attrito con i Paesi e le entità militanti che vogliono revisionare l’equilibrio planetario non sono diminuiti e gli sfidanti sono ora più forti e più audaci, mentre, al contrario, il margine di vantaggio del sistema militare-industriale degli Stati Uniti d’America si è assottigliato.

Per evitare di affrontare questa concretissima questione il metodo di “buttarla in politica” è sempre valido: si possono scrivere saggi sul (presunto) isolazionismo americano che ritorna; si può chiosare sull’errore politico rappresentato da un rapporto puramente transazionale degli USA con i propri alleati; si può eternamente sollevare l’obiezione per la quale sì, è vero che gli USA in termini di alleanze militari ci rimettono un sacco di soldi, ma in cambio ricevono un vantaggio in termini di dominio economico. Di fronte ai problemi non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire ma la questione sta e rimane: gli Stati Uniti hanno bisogno di un impegno militare europeo significativo di fronte alla minaccia russa mentre sono impegnati a contrastare la minaccia cinese in Asia.

Non siamo più nel 1949, la richiesta di un maggior impegno economico all’Europa non è la richiesta che una nazione ricchissima fa a un gruppo di Paesi poveri. Ci sono nazioni europee che spendono poco per la difesa ed i cui cittadini hanno un tenore di vita medio superiore a quello dei cittadini statunitensi; a questo proposito, un funzionario americano disse alcuni anni fa che: “L’attuale sistema di finanziamento americano della NATO è un classico esempio di welfare per i ricchi”. In concreto: nel 2006 si è stabilita una linea guida per cui i Paesi che aderiscono alla NATO devono stanziare il 2% del proprio PIL per spese relative alla difesa (fonte: NATO Annual Report, 27.09.2023). Questo nel 2006. Pochi Paesi della NATO hanno rispettato questa linea guida. Nel 2014 la NATO ha stabilito che questo 2% era il livello minimo da rispettare e che il limite temporale per raggiungere l’obiettivo del 2% di spese militari in rapporto al PIL era il 2024. Molti Paesi europei non hanno rispettato questo patto.

La spesa militare italiana in rapporto al PIL nel 2020 era l’1,59%, nel 2022 era 1,51, nel 2023 è stata dell’1,46%. Come si vede, invece di salire la spesa militare italiana in rapporto al PIL scende. L’attuale governo ha come obiettivo di raggiungere il rapporto del 2% nel 2028.  Al di là delle ultime esternazioni di Donald Trump, non stupiamoci se i vertici politico-militari dall’altra parte dell’Atlantico iniziano a innervosirsi.

E’ ovvio che aumentare la spesa militare in rapporto al PIL significa tagliare altre spese del bilancio dello Stato: sanità, assistenza sociale, istruzione, trasporti eccetera. Difendersi ha evidentemente un costo sociale e l’Europa fin qui ha dimostrato di non essere disposta a pagarlo.
Forse, prima di parlare della creazione di “un’autonomia strategica europea”, in un Unione che non ha una politica estera comune, si potrebbe più modestamente cercare di rispettare il minimo previsto dai patti dell’Alleanza Atlantica sottoscritti 17 anni fa; ed i leader europei potrebbero seriamente impegnarsi a spiegare ai propri cittadini che sul futuro del continente europeo si addensano minacce che necessitano di essere prese molto sul serio.

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