Sta facendo, per rimanere in tema, il giro del mondo la notizia dell’ipotetico ritrovamento dell’Electra Lockheed, il bimotore che Amelia Earthart stava pilotando quando, nel luglio del 1937, sparì senza lasciare traccia.La Earthart nacque nel 1897 da una famiglia benestante. La sua epifania si verificò il 28 dicembre 1920, durante il suo primo volo da passeggiera,“ quando raggiunse la quota di due o trecento piedi e seppe che doveva volare”. Prese lezioni da Anita Snook, aviatrice e pioniera a sua volta, e il 15 maggio 1923 divenne la sedicesima donna al mondo a conseguire il brevetto da pilota. Entrò nella storia già nel 1928 quando fu la prima donna ad attraversare l’Atlantico in coppia con il pilota Wilmer Sturz. Probabilmente nemmeno lei sapeva che quello sarebbe stato solo il primo passo di una carriera stupefacente che le diede la fama mondiale e che trascinò con sé una diversa consapevolezza nel e del genere femminile: tutt’ora la sua più meravigliosa impresa. Nel 1932 riuscì a concretizzare il sogno di attraversare l’Atlantico in volo in solitaria. Non ebbra, decise di lanciarsi in una nuova ambiziosa avventura: la circumnavigazione del globo seguendo la via dell’equatore, la strada più lunga. Amelia e Fred Noonan, suo copilota, decollarono da Miami facendo varie tappe. Il 2 giugno partirono da Lae ma, circa mille chilometri dopo, le tracce del loro velivolo sparirono e, nonostante una mobilitazione senza precedenti, non vennero più ritrovate.
La sparizione della più famosa aviatrice americana fù, negli anni immediatamente precedenti allo scoppio della seconda guerra mondiale, un avvenimento che fece scalpore e che aprì la strada alle più svariate ipotesi.
Nel 1944 apparse un articolo sul Benton Harbour News Palladium dal titolo “Ritrovate prove sul mistero di Amelia Herhart” scritto da Eugene Burns nel quale si tornava ad esplorare l’ipotesi che la Earthart, e il suo copilota, fossero stati catturati dai giapponesi. L’articolo si basava sul bollettino di una missione redatta dal tenente Bogan dove si annotava che un nativo delle isole Marshall, tale Elieu Jibambam, aveva sentito dire che, “tre anni e mezzo prima [..] una donna pilota era stata recuperata da un peschereccio giapponese e che era stata portata in Giappone”. La storia, non supportata da reali prove e non raccontata da testimoni diretti non ebbe mai riconosciute le sue fondamenta. Le ricerche, quindi, non smisero mai e ciclicamente la notizia rivide gli onori della cronaca.
Il 3 luglio del 1960 apparve un articolo sul San Mateo Times riportante la testimonianza diretta di Jhosephine Blanco Akiyama che diceva di aver visto direttamente l’aereo di Amelia Erahart schiantarsi su Saipan, che sapeva fosse stata recuperata dai giapponesi e che lei, e il suo copilota, furono successivamente uccisi dall’esercito giapponese perché accusati di spionaggio. Turbata dall’accaduto l’allora undicenne Jhosepine disse di esser tornata a casa e aver raccontato tutto ma che, per abitudine alla paura esercitata dall’esercito giapponese, le dissero, semplicemente, di dimenticare l’accaduto. Deciso fautore di questa teoria fu Fred Goerner, famoso radio giornalista della CBS, che dedicò moltissimo tempo alla ricerca della verità sulla scomparsa dell’indimenticata e indimenticabile aviatrice.
Nel 2017, poi, spuntò una misteriosa foto sfocata dagli Archivi Nazionali dell’atollo di Jaluit (nell’Oceano Pacifico) che ritraeva una donna e un uomo di parvenza occientali. Quella foto venne presa e messa alla base di un documentario di History Channel dal tiolo “Amelia Earhart: The Lost Evidence” che supportava l’idea che la Erahart e il suo copilota fossero sopravvissuti allo schianto del loro velivolo. La foto non aveva data certa e di conseguenza le congetture derivanti dal documentario furono ampiamente osteggiate e, alla fine, lo stesso venne ritirato dalla programmazione di History Channel. Nel 2017 ci fu una nuova spedizione di ricerca a Nikumaroro un piccolo atollo disabitato dell’Oceano Pacifico situato nell’arcipelago appartenente alla Repubblica di Kiribati sostenuta dal National Geographic Channel e dalla International group of Historic aircraft. Quest’ultima, azienda no profit, meglio conosciuta come Thigar, è veterana nella ricerca del velivolo dell’aviatrice e negli anni ha dato il via a più di 12 spedizioni costate, nel complesso, quasi 2 milioni di dollari ma che non hanno portato, in realtà, ad alcun ritrovamento degno di nota.
È stata lunga e difficile l’avventurosa ricerca della coraggiosa Amelia, e potrebbe essere arrivata, con la foto scattata ieri da qualche parte a cento miglia distante dalla costa di Howland Island, alla sua conclusione grazie all’impresa di Tony Romeo e della sua Deep Sea Vision. Conclusione che, in realtà, non sembra per nulla scontata, dato che, dicono i maggiori esperti, quello in realtà potrebbe essere un comune velivolo affondato nel corso della seconda guerra mondiale e che, quindi, potrebbe non avere nulla a che fare con le eroiche imprese della pionieristica esploratrice. Qualunque sia la risposta ai numerosi interrogativi che ammantano la misteriosa scomparsa dell’aviatrice, sia essa perita o sopravvissuta al terribile schianto, la sicura eredità che ci ha lasciato la Earthart è, al pari di qualunque essere umano si sia spinto oltre il limite dell’impossibile, il coraggioso superamento dei confini sicuri che impongono all’umanità un’evoluzione positiva per cui, tutti noi, dovremmo costantemente ringraziare.
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