Reduce dal meritato successo al botteghino con la sua opera prima, Paola Cortellesi è stata invitata come madrina all’apertura dell’anno accademico dell’Università LUISS. Come ormai noto, il suo discorso si è incentrato sul ruolo della donna all’interno delle fiabe e ha scatenato non poche polemiche per il modo in cui sono state decontestualizzate alcune delle figure di riferimento di questo mondo. Non è questo un argomento scontato e si è rivelato, data la sua capacità di veicolare emozioni e sensazioni, molto delicato. Non è la prima volta infatti che le fiabe, portatrici di sentimenti che muovono le radici dell’infanzia di ciascun individuo, divengono vittime sacrificali sull’altare del politically correct: dai nani che non dovrebbero essere chiamati nani per non offendere le persone affette da nanismo, al bacio, non richiesto e, dunque, estorto a Biancaneve da parte del principe azzurro. Questi racconti, che hanno cresciuto le generazioni X e Millennials e hanno fatto sognare i genitori della Baby Boomers, sono state scritte e (a volte perché troppo macabre) riscritte negli anni e sono portatrici di valori contestualizzati per l’epoca nella quale sono state rese celebri; racconti, dunque, ormai datati. Perché allora tutta questa polemica?
Il reale argomento che comporta la vicenda dell’apertura dell’anno accademico della LUISS è la narrazione e la contro narrazione che si vuole dare agli argomenti che si prendono in considerazione. Se vogliamo narrare, senza fuorviare i messaggi, la realtà del mondo che ci circonda, non occorre scomodare antichi racconti per bambini, pur densi e carichi di significato. Le moderne fiabe (e storie dell’orrore) da prendere in considerazione per dare uno specchio dell’odierna società le leggiamo sfogliando le pagine dei giornali, negli articoli di cronaca. Lì possiamo trovare racconti di amore estremo (racchiusi nelle gesta di un ragazzo che denuncia la scomparsa della sua fidanzata musulmana che voleva vivere all’occidentale o nell’amore di un marito che perdona la propria moglie per averlo tradito e che trova la forza di denunciare l’amante di lei e con lei per stalking per poi piangerne la morte, o nel temperamento di una madre che salva fisicamente la propria figlia dall’ex marito violento), di odio generato (raccontato da una madre che complice di fratelli, cognati e marito fa uccidere e seppellire la propria figlia o da una nonna che infibula la sua nipote) o spontaneo (come un fidanzato che uccide la compagna e il bimbo che porta in grembo perché incapace di occuparsi di qualsiasi cosa o persona che non sia se stesso), i cui protagonisti, positivi e negativi, appartengono ad entrambi i generi.
Dovremmo dunque fare il difficile, moderno sforzo di pensare che il mondo è abitato da (sempre più) persone: individui che possono essere tristi, feriti e, sì, anche cattivi. Qui il fluid gender dovrebbe trovare la sua massima espressione perché i sentimenti umani non hanno genere: L’odio o l’amore, la rabbia o la gelosia, il livore l’invidia o l’ira non nasce uomo o donna. Cresce nel grembo dell’umanità tutta. Argomenti probabilmente troppo complessi e scomodi per essere trattati.
L’ondata polemica che ha travolto il discorso della regista parte da lontano nasce dal moto sommerso di generale insofferenza alle, ormai costanti, facili imposizioni ideali in mainstream. A tal proposito e restando nel mondo fantasy possiamo far esperienza delle parole del nonno di Peter Parker (in arte spiderman) che saggiamente disse: “da un grande potere derivano grandi responsabilità”. Chi ha il potere dell’influenza dovrebbe, quindi, maneggiare con cura questo pericoloso e prezioso dono. Che gli influencer vendano (possibilmente non beneficenza), che gli attori recitino, i cantanti cantino e i registi dirigano, ma che, consci dell’incredibile impatto mediatico che comporta una qualsiasi loro tipo di esternazione, non espongano, manipolino o indirizzino la platea verso idee palesemente politiche. Perché se la loro causa ha bisogno della loro fama, non è una buona causa. E se, al contrario, la loro fama ha bisogno di una giusta causa per sopravvivere, forse, non esiste un reale talento.
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